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Non so se altri si siano cimentati nella scrittura di un libro fantasy di ispirazione biblica, che potrebbe verosimilmente inserirsi tra le vicende del Pentateuco, già di per se' inquietanti e spesso spiazzanti per noi, lettori del 3° millennio; in ogni caso, ritengo l'esperimento ben riuscito: l'affabulazione è scorrevole, colta e raffinata e lascia intuire uno studio approfondito della storia, dell'ambiente, dei costumi e delle tradizioni dell'epoca, teatro della vicenda, tutto ciò senza peccare di pedanteria, ma al contrario utile al lettore per lasciarsi catturare senza rimedio dall'intreccio e rimpiangere alla fine che sia finito. Il racconto è al contempo una metafora dell'attualità, in cui la rapacità umana rischia di distruggere la creazione e l'armonia tra uomo e natura.
Ciò che colpisce fin da subito, oltre alla graficamente ben realizzata copertina, è lo stile narrativo, lessicalmente raffinato e al contempo piuttosto fluido, che permette al lettore di rapportarsi accuratamente con fatti accaduti in un epoca oramai trascorsa da migliaia di anni. L'autore ha saputo tessere una trama fantasy accattivante narrando le vicende "reali" di personaggi presenti nella tradizione assiro-babilonese, come Tarsis e Rebecca ( i veri protagonisti), il mite Javan, la regina Semiramis e il sovrano Nembrod, le cui vicende alternano momenti riflessivi e descrittivi ad altri decisamente più forti e concitati, come il passaggio relativo al massacro della stirpe di Javan, che anche se occupa uno spazio di poche pagine, riesce a trasmettere al lettore le stesse sensazioni di dolore, terrore e angoscia provate dai due giovani inermi spettatori.
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