Data alle stampe nel 1807, la Fenomenologia dello spirito era stata per ammissione dell’autore terminata la notte prima della battaglia di Jena, tra il 13 e il 14 ottobre del 1806. Poche ore dopo Hegel assistette di persona all’ingresso di Napoleone in città quasi a confermare nei fatti quella nozione di “tempi moderni” o “tempi nuovi” che per il filosofo implicava una coscienza storica specifica e un modo riflessivo di situarsi sull’orizzonte della storia nella sua totalità, resi possibili solo nel contesto dello Stato moderno quando la storia umana era diventata comprensibile come storia mossa dalla ragione. Nell’agosto del 1806, dopo la disastrosa sconfitta di Austerlitz, l’imperatore Francesco II aveva invece rinunciato formalmente al titolo di sacro romano imperatore, ultima espressione istituzionale della christiana res publica, abdicando a un discorso politico astratto, indissolubilmente intrecciato con le concettualizzazioni scientifiche ispirate all’inerenza di essere e pensiero caratteristiche della filosofia moderna. A ricomporre le polarità di natura e di spirito era intervenuta proprio la poderosa interpretazione di Hegel, alla quale siamo ancora a tal punto debitori da immaginare come qualcosa di scontato e da sempre esistente la teorizzata autonomia dell’individuo conseguente al trasferimento dell’ordine della verità dalla dimensione “quotidiana” della società organica, nella quale gli assunti religiosi o metafisici sulla natura del mondo rendevano l’uomo connaturato al mondo, alla verità specialistica legata al metodo scientifico in grado di accettare solo ciò che è distanziato e dimostrato oggettivamente. Anche se l’ingombrante metafisica dello Spirito assoluto è ormai screditata, il ruolo onnicomprensivo della dialettica è stato sostituito dagli algoritmi di calcolo trattati dai microelaboratori elettronici, i cui esiti sembrano preludere a un’organizzazione sociale nella quale la tecnica pare in grado di conseguire il risultato evolutivo già raggiunto dalla natura nelle colonie delle termiti e delle formiche: un superorganismo artificiale. Opporsi a questa deriva totalitaria significa salvare dall’oblio una tradizione politica diffusa prima che la prassi si imponesse quale criterio principale di verità e che l’esperienza del linguaggio si traducesse nella metafora strumentale della “comunicazione”. Si tratta in ultima analisi di riconoscere il dato di fatto che l’uomo europeo ha le sue radici in quell’intreccio di società, politica e religione che costituiva l’Ancien régime, del quale dovremmo almeno recuperare la memoria per la critica efficace di una democrazia che assumendo se stessa come valore si è trasformata in una tirannia dei valori, maschera ideologica di un antidemocratica globalizzazione tecnico-economica.
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