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Vertigine. La tentazione dell'identità - Andrea Cavalletti - copertina
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Vertigine. La tentazione dell'identità - Andrea Cavalletti - copertina
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Descrizione


La repulsione/attrazione per il baratro non è solo una patologia diffusa: a "soffrire di vertigini" è, costitutivamente, la filosofia stessa.

«Andrea Cavalletti è uno dei filosofi italiani più innovativi. Sotto il suo sguardo tutto appare in una nuova luce» - Giorgio Agamben

Mal di vuoto, terrore delle altitudini che in realtà è paura di cedere alla tentazione di lasciarsi cadere: tutti sanno che cos'è l'acrofobia, e molti ne sono affetti. Prima di Freud, le cosiddette «scienze dell'anima», tra cui la nascente psichiatria, riservavano alle vertigini un posto d'onore nel quadro delle patologie mentali, giudicandole l'elemento destabilizzante e intossicante – repulsivo e attrattivo insieme – senza il quale la coscienza stessa non era concepibile. Alcuni si spingevano fino a indurle nei pazienti attraverso minacciose terapie rotatorie. In modo non cruento, ma altrettanto radicale, la vertigine si accampa anche nella filosofia degli ultimi due secoli. Se a Montaigne e a Pascal poteva ancora apparire un perturbamento della ragione a opera dell'immaginazione, in seguito il pensiero smette di assimilarla a un'occasionale instabilità immaginativa da vincere, per riconoscerla parte del suo stesso procedere: l'identità si manifesta malferma, cinetica, opaca, vertiginosa appunto. La critica del paradigma coscienziale e della sua presunta fermezza attraversa, con tenore ed esiti differenti, la riflessione di Husserl, di Heidegger e dei francesi del secondo dopoguerra, da Sartre a Merleau-Ponty, da Levinas a Jankélévitch a Klein. Il cortocircuito folgorante di Andrea Cavalletti accosta le loro scansioni teoretiche alla resa cinematografica della caduta nel vuoto di un celeberrimo giallo di Hitchcock, «La donna che visse due volte» (titolo originale: «Vertigo»), dramma degli abissi identitari di cui Truffaut ammirava il ritmo contemplativo. La combinazione geniale, mai tentata prima, di dolly e zoom che lì realizza tecnicamente l'effetto del precipitare descrive quel doppio movimento di «spingere e trattenere» che è la condizione abituale del soggetto e dell'intersoggettività. Per raggiungere me stesso devo guardarmi dal fondo del baratro, con gli occhi altrui. «Il mio “qui”, allora, fugge laggiù e da laggiù mi attrae».
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Dettagli

2019
28 febbraio 2019
Libro universitario
228 p., Brossura
9788833930824

Conosci l'autore

Andrea Cavalletti

Ha insegnato presso l’Università di Bologna e l’Università IUAV di Venezia e svolge attualmente attività di ricerca in Filosofia teoretica presso l’Università di Verona. Collabora al supplemento «alias» del «manifesto».Tra i suoi saggi: La città biopolitica. Mitologie della sicurezza (2005). Presso Bollati Boringhieri ha pubblicato Classe (2009) e Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico (2011) e ha curato alcune opere di Furio Jesi (Spartakus. Simbologia della rivolta, 2000, Kierkegaard, 2001, e Bachofen, 2005) e il saggio di Chaim Nachman Bialik Halachah e Aggadah. Sulla legge ebraica (2006). I suoi scritti sono tradotti in quattro lingue.

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