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L’arte e la scienza sono definitivamente separate? O si guardano allo specchio, immagine l’una dell’altra? Nel 1929, il matematico Norbert Wiener, futuro padre della cibernetica, aveva sostenuto che la scienza dei numeri è, in senso stretto, un’arte. E che la matematica può (deve) essere collocata a pieno titolo nella storia dell’arte. Creò non meno scalpore, nel 1959, il libro con cui l’inglese Charles Percy Snow denunciava invece l’avvenuta separazione tra «le due culture», quella scientifica e quella umanistica. Molti intellettuali, in Italia e fuori dall’Italia, furono colpiti dalla provocazione di Sir Charles Percy Snow. E reagirono. Primo Levi, per esempio, scrisse che se davvero esiste una «schisi» tra scienza e arte, si tratta di una «schisi innaturale»: perché questa separazione non la conoscevano né Dante, né Galileo e neppure «Empedocle, Leonardo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, né Michelangelo; né la conoscono i buoni artigiani d’oggi, né i fisici esitanti sull’orlo dell’inconoscibile». Negli ultimi cinquant’anni sia l’arte sia la scienza hanno continuato il loro percorso evolutivo. Separandosi definitivamente o recuperando la «schisi innaurale»?
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