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Nella “Nota per il lettore” che anticipa il saggio di Bernard Berenson sull’Amico di Sandro -qui pubblicato per la prima volta in versione italiana- sono gli stessi curatori del volume a definirlo “sbagliato,viziato nelle premesse,affabulatorio nello svolgimento delle argomentazioni,infondato nelle conclusioni a cui giunge…”. Perché dunque prendersi la briga di leggere queste pagine? Innanzitutto perché,come è chiarito più avanti nella stessa Nota,questo scritto berensoniano “ha avuto una notevole quanto spropositata incidenza negli sviluppi della ricerca e nel dibattito critico relativi ad alcuni dei maggiori fatti figurativi del Rinascimento”;poi perché è una testimonianza straordinaria del periodo in cui la critica d’arte (o una parte comunque considerevole di essa) si fondava sulla connoiseurship – nel caso specifico,sul metodo sperimentale di Giovanni Morelli; e in ultimo,perché gli errori a cui giunge Berenson ci indicano quanto possa essere fallace una critica d’arte che,escludendo l’ausilio di qualsiasi fonte storica e documentaria,si fondi esclusivamente sull’analisi formale delle opere. La lettura dell’ampio saggio introduttivo di Patrizia Zambrano,che occupa più della metà del volume,è quindi indispensabile,e forse,risulta addirittura più interessante dello stesso saggio di Berenson:le implicazioni teoriche e il dibattito determinatisi dalla creazione del fittizio Amico di Sandro (Botticelli),vengono qui alla luce con estrema chiarezza. Il primo nome che viene fuori è quello del grande conoscitore italiano Giovan Battista Cavalcaselle:la Zambrano rileva come la creazione dell’aleatoria figura dell’Amico da parte di Berenson,è attuata anche come contrapposizione alle attribuzioni di Cavalcaselle,che aveva correttamente attribuito a Filippino Lippi gran parte delle opere che il conoscitore inglese attribuirà al fantomatico Amico. Un opposizione a Cavalcaselle dovuta all’adesione di Berenson al metodo morelliano,che porta conseguentemente alla svalutazione di Filippino,considerato come un precursore di quel “secentismo” manierista e barocco valutato tanto negativamente dalla critica d’arte del periodo. Ma del back round culturale di Berenson non fa parte solo Morelli,ma anche,come noto,l’estetismo di Walter Pater. Lo studioso,scrive la Zambrano, “considerava lo scrittore inglese come il suo solo maestro e il suo unico vero punto di riferimento”,e infatti è attraverso le sue opere che Berenson maturerà la visione del Rinascimento fiorentino in quanto fenomeno storico artistico avente come centro la figura di Botticelli; la Zambrano aggiunge:”Le pagine [di Pater] su Botticelli dovettero essere ben presenti a Berenson quando questi formulò l’ipotesi dell’Amico di Sandro”. E soprattutto,l’influenza di Pater e dei suoi “Imaginary Portaits” agisce a un livello più profondo,come fondamento metodologico dell’indagine storica:”[…] la mescolanza voluta di storie vere e fittizie- è ancora la Zambrano a scrivere - conduceva ad un gioco sottile di vero e di falso,a sancire una supremazia dell’immaginazione e della capacità di trasfigurare i dati storici e la realtà”. Date queste conclusioni,mi chiedo quanto sia lecito attribuire gli errori berensoniani al metodo morelliano( è quanto la Zambrano sostiene sulla scorta di David Alan Brown),soprattutto considerando il fatto che Morelli,parlando contraddittoriamente di “capacità divinatoria”,rendeva il suo metodo difficilmente applicabile da altri nella sua interezza. Infine,il ruolo fondamentale giocato da Herbert Percy Horne nel definitivo svelamento degli errori di Berenson- che porta anche Roger Fry (che aveva, in parte,accolto la proposta dell’Amico di Sandro) ad allontanarsi dalla storia dell’arte berensoniana- e quello avuto,in anni successivi,da Roberto Longhi nella contestazione di quella visione”Firenze-centrica” del Rinascimento,che aveva visto nel suo vecchio maestro uno dei più convinti esponenti. Per concludere,credo si possa ben dire che,tra tutti gli scritti di Berenson,questo è probabilmente il più superato e inattuale; tuttavia leggere queste righe (e,ribadisco,il saggio della Zambrano) si rivela utile non solo perché siamo di fronte a un pezzo comunque importante (e relativamente poco noto) della storia della critica d’arte,ma anche perché gli errori di Berenson si rivelano,come dicevo all’inizio,molto istruttivi.
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