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Melino di Fabio Furnari per Terre sommerse è un libro ricco di contenuti. Atrraverso l’espediente dei tre racconti l’autore riesce ad affrontare alcuni dei temi più difficili in assoluto, come l’elaborazione di un grave lutto. Il primo racconto è un vero flusso di pensieri, di domande e di riflessioni su come gli uomini troppo spesso dimentichino o facciano finta di dimenticare un amore, una condizione sociale, la storia. Proprio dalla storia dovrebbero imparare l’atrocità della guerra e la sua mancanza di vincitori e di vinti, ma anche in questo caso gli uomini dimenticano. Il secondo episodio narra la storia di Melino, il personaggio che dà il titolo al libro stesso. Questo giovane, a soli 12 anni, scopre una pietra magica che come una sorta di macchina del tempo lo farà viaggiare indietro in altre epoche. Insieme alla pietra troverà anche l’amore. Il racconto segue Melino fino ai trenta anni, accompagnandolo durante la sua maturazione individuale. Il terzo raconto è il più intimo ed è quello che preferisco. Chris il protagonista si ritrova in una specie di dimensione altra nella quale riesce a vedere e a parlare di nuovo con il padre morto ormai da dieci anni. Grazie a questi specie di sogni riuscirà ad elaborare la grave perdita. La perdita di un genitore, soprattutto se avviene molto presto, può esser visuuta come un abbandono e rimangono in sospeso una serie di frasi non dette e di cose che non si ha avuto il tempo di fare insieme. Emblematiche e toccanti le parole di Chris al padre Enrico quando gli confessa la sua rabbia e di come avrebbe avuto bisogno di lui e dei suoi consigli in certi momenti della sua vita. L’episodio si conclude con una lettera bellissima e poetica di Chris al padre
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