L' ultimo pellegrino

Siamo in Norvegia, nel 2003. Esiste un collegamento tra il ritrovamento di tre scheletri nella foresta che circonda Oslo e la barbara uccisione di un uomo di 85 anni, personaggio molto in vista nella città ed eroe della Resistenza? Per il poliziotto incaricato delle indagini, certamente sì. Si sviluppa pertanto un’apprezzabile romanzo poliziesco intorno ad un reale fatto storico che ha coinvolto l’Europa intera, ai tempi dell’ultimo conflitto mondiale, della Resistenza e delle liquidazioni “postbelliche”. La verità si farà strada faticosamente ma inesorabilmente in una trama piuttosto complessa, tra bugie e colpi di scena, grazie anche all’alternanza capitolare tra i due periodi temporali.

Ho acquistato questo libro dopo averne letto una recensione entusiasta: vi si parlava addirittura di una scrittura ai livelli di Nesbø e Larsson, mi si prometteva un libro che andava oltre il semplice genere poliziesco. Sono davvero deluso. Il plot è forzato, i pezzi del puzzle si incastrano ma solo a martellate con alcuni passaggi logici che mi sfuggono (per limiti miei di sicuro). Il disegno dei personaggi è piatto, l'autore li gestisce in modo stereotipato. Quando non sa che cosa fargli fare, li fa fumare, la parola "sigaretta" è ripetuta ben 150 volte! Uno dei personaggi, quando si agita cerca una fiala di veleno con una meccanicità da carillon. L'introspezione del protagonista è una promessa non mantenuta, ha un'anima oscura nel suo passato, ma l'autore non sa fare altro che farci vedere qualche senso di colpa, lui si ripete quanto è stato cattivo e lì finisce tutto. Se paragonato a Harry Hole di Nesbø, fa la figura dello spaventapasseri... Patetico e inutile il plot sentimentale, i due si parlano a malapena prima di innamorarsi e concludere tutto in 4 telefonate, introspezione questa sconosciuta... In conclusione, una lettura poco meno che ombrellonistica.

Sono davvero deluso. Il plot è forzato, i pezzi del puzzle si incastrano ma solo a martellate con alcuni passaggi logici che mi sfuggono (per limiti miei di sicuro). Il disegno dei personaggi è piatto, l'autore li gestisce in modo stereotipato. Quando non sa che cosa fargli fare, li fa fumare, la parola "sigaretta" è ripetuta ben 150 volte! Uno dei personaggi, quando si agita cerca una fiala di veleno con una meccanicità da carillon. L'introspezione del protagonista è una promessa non mantenuta, ha un'anima oscura nel suo passato, ma l'autore non sa fare altro che farci vedere qualche senso di colpa, lui si ripete quanto è stato cattivo e lì finisce tutto