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Un libro adatto per gli studenti, per gli "addetti ai lavori" e per i lettori curiosi. Hugh Honour, sempre impeccabile nelle sue dissertazioni, analizza il fenomeno artistico del Romanticismo lungo un cammino segnato dalle opere più celebri, inserite nel tessuto storico e culturale in cui hanno visto la luce. E' una lettura facile da seguire, ciò non significa banale: l'autore (qui come in altri testi) getta uno sguardo che abbraccia l'età del Romanticismo andando oltre le categorie, i preconcetti e le strutture chiuse che si trovano sui soliti manuali di Storia dell'arte.
In questo libro,diventato un classico sull’argomento,Hugh Honour traccia un profilo ricco e sfaccettato dell’arte del romanticismo,inserendo le opere d’arte figurativa nel contesto culturale dell’epoca,in rapporto ai coevi atteggiamenti filosofici,letterari,musicali,nonché sociali e politici. Questo volume,quindi, non si accontenta di un analisi esclusivamente formale delle opere selezionate. Aderendo all’idea di Robert Rosenblum secondo cui le etichette consolidate di Neoclassicismo e Romanticismo sono delle “camicie di forze semantiche” che restituiscono poco della ricchezza della situazione artistica tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento (il rapporto tra i due studiosi è spiegato benissimo nella nota introduttiva di Fernando Mazzocca),Honour sottolinea che “la visione del mondo e gli ideali romantici erano espressi [..]in una tale varietà di linguaggi visivi che il termine romantico può essere riferito a opere che,in senso formale,non hanno assolutamente nulla in comune”. Il romanticismo cioè,è composto da un insieme di stili individuali tra loro diversi,se non proprio agli antipodi:il termine riconduce quindi a una essenziale polisemia stilistica che qualsiasi analisi esclusivamente formale rischierebbe di non tenere nel giusto conto, con la conseguente esclusione dalla storia del Romanticismo di artisti legati a stili meno innovativi o semplicemente distanti dalla ipotetica linea stilistica dominante (tale atteggiamento inclusivo viene contestato da Renato Barilli nel suo “L’alba del contemporaneo”-p.42,nota 8-volume che affronta tematiche affini con un programma metodologico moto diverso ottenendo,secondo me,risultati più contestabili )- e dunque è estremamente significativo che le prime due opere confrontate da Honour siano il “Corazziere ferito” di Gèricault e il “Ritratto di Franz Pforr” di Overbeck,così lontane da un punto di vista formale eppure entrambe così pienamente romantiche. Se Rosenblum,nel suo fondamentale “Trasformazioni nell’arte”,vedeva ne “Il giuramento degli Orazi” di David il capolavoro che fa da spartiacque tra le sopravvivenze rococo e le nuove istanze del neoclassicismo,secondo Honour “non vi è una singola opera d’arte che esemplifichi le aspirazioni e gli ideali romantici […]. Non esiste un capolavoro romantico paradigmatico”. Conseguentemente,viene dedicato ampio spazio non solo agli universalmente noti Friedrich e Turner, Géricault e Delacroix,ma anche a una serie di artisti meno noti se non del tutto sconosciuti,al di là del valore delle loro opere. Molto interessante il discorso di Honour secondo cui gli ideali estetici del romanticismo si sono sedimentati a tal punto nelle generazioni successive da condizionare il modo stesso di approcciarsi alla storia dell’arte:”Per molti i termini poesia e poesia romantica sono sinonimi”,”Essi resero sempre più difficile per le generazioni successive percepire l’arte del Rinascimento o dell’antichità classica in maniera pre- ottocentesca”. Tra i capitoli più interessanti del volume c’è sicuramente l’ultimo,”La via misteriosa”,in cui entriamo d’un balzo nel lato “oscuro” e spirituale dell’arte romantica. Interessante il tema del rapporto dei vari Goya,Shelley e Novalis con l’Illuminismo:”Nessuno di loro può essere considerato un oppositore del pensiero illuminato […] ma rifiutavano quelle che consideravano le tendenze più superficiali,in quanto soprattutto cerebrali,dello scetticismo settecentesco”;acuta l’analisi del genio visionario e contradditorio di Blake,in cui opera artistica e poetica risultano inseparabili,in quanto entrambe realizzate in base allo stesso principio guida secondo cui -scrive Honour- ”la facoltà immaginativa ricevuta da Dio doveva controllare il fallibile intelletto umano e non viceversa”. Altrettanto interessante il rilevamento,da un lato, del legame indissolubile che gli artisti romantici sentivano di avere con il cristianesimo,tanto forte da rendere impossibile per loro un ritorno all’antichità classica;dall’altro,di come la religiosità romantica fosse spesso una religiosità secolarizzata e vissuta in senso strettamente soggettivo,al punto da concepire l’arte come la più alta delle religioni,e gli artisti del passato come più che degni di prendere il posto dei santi nelle raffigurazioni (come avviene nella magnifica stampa da Franz Pforr). Nel finale del capitolo gli stati del sogno e dell’allucinazione:”E le opere d’arte che cercavano di oltrepassare la barriera dei cinque sensi per esplorare il rapporto fra mondo della psiche e mondo del soma,fra percezione visionaria e realtà materiale,più che riflettere gli studi sui sogni e altri fenomeni irrazionali ne costituivano un equivalente”. Insomma,questo è un libro bellissimo,e il consiglio di leggerlo non può che essere ovvio!
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