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Anno edizione: 2017
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Anno edizione: 2015
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Il titolo e la copertina di “Casella numero 58” di Luigi Bartalini, Castelvecchi Editore, ci preannunciano che assisteremo a una gigantesca partita al Gioco dell’oca. L’occhio riportato in copertina, dall’aspetto demoniaco, forse non fa mettere subito a fuoco che si tratti dell’occhio di un’oca ma il titolo è inequivocabile: la casella n. 58 è una delle 63 caselle del gioco dell’oca. In particolare, la casella n. 58 è quella dello scheletro (o della morte), che costringe il giocatore che ci capiti sopra a ricominciare dal via. Non si muore, nella casella 58, ma si riparte dal via. Quindi si ha una nuova possibilità, si può fare un percorso differente rispetto al precedente. Si può ancora vincere. Il romanzo di Bartalini è diviso in 5 sezioni, corrispondenti ad altrettante caselle “speciali” del gioco. La prima che incontriamo è la 19, la Locanda, che nel libro viene chiamata “L’osteria del tempo perduto”, poi si passa alla 31, il Pozzo (qui ribattezzato il Pozzo dell’errore grave). Si passa quindi alla casella 42, “il Labirinto della scelta del cammino”, poi per la 52 “L’arca scrigno della vita futura”. Poi c’è la casella 58, di cui dicevo prima. Manca la casella n. 63, quella del traguardo, probabilmente per l’intenzione dell’autore di lasciare un finale aperto. La partita narrata da Bartalini, viene giocata da 11 personaggi. Nella prima casella ci vengono presentati in ordine: il precario, l’attore fallito, la dipendente del fast food, la segretaria, la commessa, l’insegnante, il sindacalista, l’onorevole corrotto, l’imprenditore per bene, il responsabile risorse umane e l’imprenditore disonesto. Ci sono dei personaggi negativi e altri positivi. La tavola da gioco, sulla quale si muovono le pedine, è un centro commerciale e, in particolare un fast-food che – lo apprendiamo dalle prime righe del libro – è esploso. Non si sa se per un incidente o un attentato. C’è anche una clessidra che scandisce il tempo di gioco. Tutti i capitoli del libro sono contraddistinti dai minuti che scorrono inesorabili fino alla fine. Nella seconda casella ritroviamo le stesse 11 pedine, ripresentate nel medesimo ordine del capitolo precedente, proprio come si usa fare in un gioco da tavola: si tirano i dadi uno alla volta, seguendo un ordine assegnato sin dall’inizio. È la casella nella quale si resta intrappolati fino a quando non sopraggiunge un altro giocatore e qui vediamo tessere le prime relazioni tra gli 11 partecipanti, che nel primo capitolo sembravano invece slegati l’uno dall’altro. L’impressione che ho avuto leggendo il libro è stata che si possono distinguere due tipi di precari: il precario consapevole di essere tale (come possono essere un esodato o una commessa) e i precari che invece non avvertono la propria condizione, la caducità della vita; quelli che vivono con arroganza, a volte esercitando un potere fine a se stesso, sentendosi invincibili, eterni e che solo di fronte a un evento eccezionale o un forte dolore, a volte prendono coscienza della precarietà della vita. Nella terza casella le relazioni tra i giocatori aumentano di complessità; si incontrano nei luoghi di lavoro e a volte ritroviamo la stessa scena narrata da un protagonista diverso da quello che abbiamo visto in precedenza. Siamo a metà mattinata e sappiamo, perché lo abbiamo letto nelle prime pagine, che l’esplosione c’è stata verso le 14.00. Nel lettore sale la tensione. La vita intanto si dipana con apparente normalità: c’è una commessa che allestisce una vetrina, un’insegnante che prova rabbia e compassione mentre i suoi allievi – in visita al centro commerciale – le pongono domande sul futuro e sul lavoro; un politico che preferisce incassare una tangente piuttosto che andare a Roma per votare il Decreto Lavoro. Mi è venuto in mente “The Trouman Show” e mi sono chiesto: viviamo tutti in un gigantesco Gioco dell’Oca? Siamo etero diretti? Nella quarta casella, Renato ci chiarisce qual è la posta in palio: il tempo e quindi il futuro. Ecco perché passare per la casella numero 58 può essere una possibilità: possiamo provare a modificare il nostro percorso, a occupare meglio il nostro tempo. Ho pensato a quello che Harvey Keitel dice a Micheal Caine in Youth - la giovinezza: “Ho perso i migliori anni della mia vita (…). Tu hai detto che le emozioni sono sopravvalutate ma è una vera stronzata. Le emozioni sono tutto quello che abbiamo!”.
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