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Io non mi chiamo Miriam - Majgull Axelsson - copertina
Io non mi chiamo Miriam - Majgull Axelsson - 2
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Io non mi chiamo Miriam

Descrizione



Un romanzo potente e spiazzante che parla di identità, vergogna ed esclusione, che tocca parti molto dolorose della storia d’Europa, gettando luce sul destino dei rom durante le persecuzioni naziste e negli anni successivi.

«Io non mi chiamo Miriam», dice la protagonista il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno quando il figlio le regala un bracciale d’argento di un artigiano zingaro con inciso il suo nome. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, da quando la ragazzina rom di nome Malika salì su un convoglio in partenza da Auschwitz per Ravensbrück: un pezzo di pane che aveva in tasca scatenò una rissa dopo la quale, per non farsi fucilare, infilò i vestiti di una coetanea ebrea morta durante il viaggio. Così Malika indossò la stella di David, diventò Miriam, sopravvisse ai lager, si ritrovò in Svezia degli anni Cinquanta (una società incapace di comprendere veramente le atrocità subite nei campi di concentramento e in generale la guerra in tutto il suo orrore) e poi ospite di una signora bene della Croce Rossa... Il costante timore di essere scoperta e il dramma di una vita trascorsa a mentire, negando i ricordi e gli affetti del passato per paura di ritrovarsi sola, il problema dell’identità – etnica, nazionale, culturale, ma prima di tutto personale – nelle sue molteplici sfumature: raccontando un volto meno conosciuto dell’Olocausto, Io non mi chiamo Miriam parla a questi tempi segnati dal sospetto verso l’«altro», e forse anche da una confusa incertezza su chi siamo e dove andiamo.
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Dettagli

2016
29 settembre 2016
562 p., Brossura
Jag heter inte Miriam
9788870914672
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Indice


La Recensione di IBS


Un doloroso e coinvolgente viaggio nella storia dei rom attraverso la vicenda di Malika, una ragazzina sopravvissuta ai campi di concentramento fingendosi ebrea.

Oggi è un giorno speciale: Miriam compie 85 anni. La sua famiglia la festeggia: Thomas, il figlio adottivo; Katarina, la nuora che non la sopporta; Camilla, la nipote universitaria già madre single; Sixten, il bisnipotino dolce e ancora ignaro di tutto.

Sarebbe un compleanno piuttosto ordinario (per quanto possa essere ordinario compiere 85 anni), se dalle labbra dell’anziana donna non uscissero cinque parole che mai prima di allora aveva avuto il coraggio di pronunciare: “Io non mi chiamo Miriam”. La famiglia non ci dà peso: forse è uno scherzo, forse è l’età, forse è un principio di Alzheimer, ma per Miriam questa è la prova che Malika è ancora viva in lei, non se n’è mai andata, per quanto lei abbia provato a seppellirla dentro di sé.
Sì, perché Miriam non si chiama Miriam, e oggi non è nemmeno il suo compleanno. Ha davvero vissuto l’orrore dei campi di concentramento, ma non è ebrea: è una rom, una zingara.
Da qui si dipana la storia di Malika/Miriam, che scorre a capitoli alterni su differenti livelli temporali. Da una parte Malika ragazzina che vive con suo padre e il fratellino, prima di essere portata via dagli antenati dei servizi sociali e spedita in convento per essere civilizzata; dall’altra Malika ad Auschwitz, dove per circostanze fortuite indossa la divisa di una ragazza ebrea morta, diventando così Miriam; dall’altra ancora Miriam dopo la fine della guerra, ospite a casa della bigotta ma generosa Hanna; infine Miriam adesso, stretta dal bisogno di svelare l’inganno e la consapevolezza dell’assurdità del gesto.

Axelsson dipinge con bravura e coraggio un ritratto inusuale ma realistico della Svezia. La sua patria non è la terra dei diritti e della tolleranza cui siamo portati a pensare, emblema dell’eccellenza nordica, con i matrimoni per gli omosessuali e la fecondazione assistita gratuita anche per le donne single. Al contrario, il paese che ospita Miriam si rivela profondamente ingiusto. Tollera Miriam la piccola ebrea di buona famiglia, ma odia e perseguita gli zingari e i tattare, gruppo ostracizzato imparentato con i rom, che pure vive in terra svedese fin dal XVI secolo.
Eppure la Svezia è rimasta neutrale al bagno di sangue inaudito che è stata la Seconda Guerra Mondiale, eppure i suoi livelli di benessere sono invidiabili, eppure la percentuale di profughi è bassissima,… Poco importa: negli anni Quaranta abbondano i tumulti contro i tattare e tutti coloro che vengono percepiti come intrusi, indesiderati. Miriam ha i capelli neri: è sufficiente perché un gruppo di uomini, ignari della sua reale ascendenza, la picchi selvaggiamente.
Con il passato di Malika ci viene raccontato un aspetto dell’Olocausto troppo spesso ignorato: il trattamento riservato ai rom. È difficile pensare che in quell’inferno ci fosse una gerarchia fra i disgraziati, ma era così: Malika viene malmenata quasi a morte dalle prigioniere polacche, perché è una sporca zingara. D’altra parte non dovremmo essere sorpresi: nell’Olocausto vennero uccisi mezzo milione di rom e solo nel 1980 il governo tedesco riconobbe l’esistenza di questo genocidio.
Il libro è ulteriormente arricchito dalla cura che l’autrice ha dedicato ai personaggi, anche quelli minori. Tutti si mostrano a loro modo complessi e realistici. Camilla è una ragazza moderna che desidera ascoltare le storie della nonna sui campi di sterminio ma nello stesso momento le teme; Hanna è bigotta e insensibile, ma vuole sinceramente aiutare una povera ragazza ebrea e inserirsi nella società; Malika è sopravvissuta agli orrori di Auschwitz e vuole continuare a sopravvivere, anche se questo significa rinnegare sé stessa.

Io non mi chiamo Miriam si rivela una lettura coinvolgente e drammatica, un coraggioso viaggio nella storia di una delle etnie più disprezzate e ignorate in assoluto. Attraverso la vita di Malika tocchiamo la loro cultura, la loro sofferenza, le continue violenze cui sono sottoposti, e di cui troppo spesso si tace, in modo colpevole.

A cura di Wuz.it

Valutazioni e recensioni

ormos
Recensioni: 4/5

Siamo abituati a considerare le orribili vicende dei campi di concentramento e di sterminio come una questione riservata agli ebrei, invece con questo romanzo la Axelsson apre uno spiraglio sulla popolazione rom, a cui toccò una sorte non dissimile ad Auschwitz e Ravensbruck. Malika è dunque una rom, una zingara, che si aggrappa con tutte le sue forze all'istinto di sopravvivenza, anche se questo significa assumere l'identità di una persona morta e identificarsi in tutto e per tutto con lei, passando per ebrea nel volgere di pochi attimi. Malika diventa così Miriam, e per lei la morte certa diventa possibilità di vita, anche se il costo da pagare sarà far calare l'oblio sulla storia della sua giovinezza. Ma i ricordi non si possono cancellare, e quegli incubi che talvolta turbano il sonno di una ormai anziana Miriam riaffiorano pian piano anche nelle sue parole e infine prorompono in una passeggiata-confessione con la nipote Camilla. Ecco allora rivelarsi la straordinaria determinazione e solidarietà di alcune donne, che pur nelle condizioni estreme al limite della sopportazione riescono ad aiutarsi e a sopravvivere. Il destino non sarà clemente con ognuna di loro, ma Miriam riuscirà a trovare la luce in fondo al tunnel, una luce che per lei è la Svezia.

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orabarbara
Recensioni: 5/5
Io non mi chiamo Miriam

Per me il più bel romanzo sul genocidio degli ebrei e sul razzismo. Racconta la storia di Miriam che nel giorno del suo 85esimo compleanno dichiara alla famiglia riunita la sua verità. Non ci fanno quasi caso pensano ai vaneggiamenti di un anziana; ma la nipote raccoglie le parole, il disagio e l’emozione della nonna e la spingi a raccontarsi. Così durante una passeggiata Miriam racconta qualcosa alla nipote e per chi legge ricorda tutto. Ricorda la deportazione, le brutture, la violenza senza motivo, gli esperimenti sul fratellino, la fame ma anche le relazioni all’interno del campo, le dinamiche di potere nonostante la situazione tragica e di come lei Malika e rom diventò Miriam ed ebrea. Racconta la perenne paura di essere scoperta, il vivere sempre defilato per non dare nell’occhio perché Miriam non era soltanto l’ebrea sopravvissuta al lager ma anche la rom nascosta in un’altra identità che solo lei sapeva, e per i rom il razzismo era sempre vivo da parte di tutti, anche dei sopravvissuti.

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Recensioni: 5/5

Per la prima volta ho vissuto il campo di concentramento attraverso gli occhi di una rom, di una giovane rom che deve diventare donna nonostante le impediscano di essere addirittura umana. È la storia di una donna che prende la vita di una persona che ormai non esiste più e se ne impossessa a tal punto da dimenticarsi chi fosse e farlo dimenticare anche a tutte le persone che la circondano. Di sicuro è un libro da leggere, consigliato soprattutto a tutti coloro a cui piace leggere questo tipo di letteratura, perché da un punto di vista completamente nuovo.

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Conosci l'autore

Majgull Axelsson

1947

Scrittrice, drammaturga e giornalista, è una delle più apprezzate autrici svedesi, tradotta in ventitré lingue e premiata con l’ambito Augustpriset. Dopo essersi affermata con inchieste su spinose problematiche sociali, come la prostituzione infantile nel Terzo mondo e la povertà in Svezia, ha esordito con successo nella narrativa, coniugando l’attenzione per le ingiustizie e per le condizioni di disagio materiale ed esistenziale con una grande capacità di calarsi nei destini dei suoi personaggi. È cresciuta a Nässjö, dove si svolge parte della vicenda narrata in Io non mi chiamo Miriam (Iperborea, 2016). Ha scritto inoltre La tua vita e la mia (Iperborea, 2019).

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