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Il Lied è il «compagno segreto» della musica moderna: dal Beethoven di Kennst du das Land (1810) allo Strauss dei Vier Letzte Lieder (1948), questa forma accompagna tutti i trasalimenti e le incandescenze della musica assoluta, nata con i romantici in terra tedesca. Una introduzione al Lied implica lo schiudersi di uno spazio interiore, dove si avverte «l’elastico respiro dell’etere»: la sua storia è un capitolo inevitabile di quel «colossale romanzo» entro cui Novalis sentiva svolgersi la nostra vita. Fra i «metafisici stupori» di Schubert e la schumanniana «religione del Reno» si crea in pochi anni una polarità all’interno della quale si disporranno poi, via via, Brahms e Wolf, Wagner e Mahler, Berg e Webern. Il Lied ci si svela come un «continente di cui Schubert ha tracciato i confini, le terre vergini, la barriera delle giungle, lo hic sunt leones». In questo regno di audaci solitudini può farci da guida solo chi gli appartiene, come Mario Bortolotto, che in questa Introduzione ha distillato dal Lied l’essenza stessa del romantico.
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