La figlia del boia e il re dei mendicanti

I cavalieri dell'Apocalisse indossavano braghe rosso sangue, giubbe lacere e mantelli svolazzanti come bandiere al vento. Le loro armi erano arrugginite e spuntate per l'uso, i cavalli solo vecchi ronzini rognosi dal manto incrostato di sporcizia. In attesa dietro i fitti alberi, gli uomini fissavano in silenzio il paese dove un'ora dopo avrebbero portato la morte. Erano dodici. Una dozzina affamata, logorata dalla guerra. Avevano razziato, ucciso e violentato, più e più volte. Anni prima forse erano stati uomini, ma adesso erano soltanto gusci vuoti; la pazzia li aveva divorati dall'interno, e ora riluceva nei loro occhi., Il loro capo, un giovane francone asciutto con la divisa sgargiante da mercenario, mordicchiava uno stelo d'erba sfilacciato e succhiava la saliva dalla fessura che gli separava gli incisivi. Quando vide il fumo salire dai comignoli delle casa addossate ai margini del bosco, annuì soddisfatto. «Sembra che sia rimasto ancora qualcosa da prendere». Gettò via lo stelo e portò la mano alla sciabola arrugginita e insanguinata che aveva al fianco. Il suono di risate femminili e infantili che giunse fino a lui lo fece sogghignare. «Ci sono pure delle donne». Il ragazzino foruncoloso alla sua destra ridacchiò. Sembrava un furetto, se ne stava curvo in sella reggendo le redini con le lunghe dita. I suoi occhi saettavano qua e là, quasi non riuscissero a stare fermi. non doveva avere più di sedici anni, ma la guerra lo aveva fatto invecchiare anzitempo. «Sei proprio un porco Philipp» gracchiò, passandosi la lingua sulle labbra screpolate. «Pensi solo a quello». «Chiudi la bocca. Karl!» ordinò una voce da sinistra. Apparteneva a un ciccione tozzo e barbuto, con gli stessi capelli neri e ispidi del francone e del ragazzino accanto a lui. Erano tre fratelli, tutti con lo stesso sguardo vacuo, implacabili e gelidi come una grandinata estiva.