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Anno edizione: 2014
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Nel corso della prima guerra mondiale furono combattute grandi battaglie sul fronte occidentale, ma la più conosciuta è quella di Verdun, uno scontro che vide contrapposti francesi e tedeschi in un periodo di tempo che va dal 21 febbraio 1916, allorché i secondi scatenarono un’offensiva con un bombardamento di artiglieria quale si era mai visto fino ad allora, e il dicembre dello stesso anno, dieci mesi di attacchi e contrattacchi che si conclusero con un nulla di fatto, ma con immense perdite da ambo le parti (400.000 uomini circa per i francesi, 355.000 per i tedeschi). Fu senz’altro una battaglia insensata, poiché Verdun non rappresentava un obiettivo strategicamente importante, eppure fu combattuta come se dal suo esito dipendessero le sorti del conflitto, e in un certo senso questo stillicidio di morte ebbe il suo peso, poiché fu uno dei motivi per cui gli Stati Uniti decisero di entrare in guerra l’anno successivo. Paul Jankowski, professore di storia nella Brandeis University del Massachusetts, ha affrontato la spinosa questione di dimostrare l’inutilità di questa lunghissima battaglia e lo ha fatto con questo libro intitolato appunto La battaglia di Verdun. Se non ho nulla da obiettare sui concetti espressi devo pur tuttavia rilevare una grevità non trascurabile che, anziché portare il lettore a un suo progressivo interesse, finisce con rendergli faticosa, se non difficile o addirittura opprimente la lettura. Il ribadire di continuo il suo giudizio iniziale, pur supportandolo via via con nuovi elementi, finisce per inaridire l’esposizione, per far dimenticare le sofferenze delle centinaia di migliaia di soldati che combatterono. Un tecnicismo quindi eccessivo, qualche ragionamento logorroico finiscono con il disturbare chi si attende, oltre certamente al tentativo di pervenire una verità, una vena di pietà, tanto più necessaria ove si tenga conto che al tanto, troppo sangue versato non si contrappose un esito determinante. Certamente è possibile dire che ne uscirono vincitori i francesi, perché riuscirono a respingere gli attaccanti, ma è altrettanto vero che forse le ragioni di questa insensatezza sono da attribuire ai due comandanti supremi, rispettivamente Erich von Falkenhayn per i tedeschi e Joseph Joffre per i francesi; entrambi, guarda caso, sostituiti al termine della battaglia. Approfondimenti in tal senso sulla personalità di questi generali sarebbero stati quindi doverosi, conoscerne la personalità, i pregi e i difetti avrebbero potuto costituire una spiegazione definitiva degli scopi della battaglia, ma così non è stato, ed è un peccato perché si è persa l’occasione per smitizzare Verdun, divenuto per i francesi un simbolo dell’eroismo nazionale, da onorare e ricordare, sebbene di certo sia anche un emblema della stupidità strategica.
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