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Ho paura torero - Pedro Lemebel - copertina
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Ho paura torero
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Ho paura torero - Pedro Lemebel - copertina

Descrizione


Lei è la Fata dell'angolo, travestito passionale e canterino, sartina delle signore dei quartieri alti, anima d'artista. Carlos è un militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez, a caccia di un nascondiglio sicuro per le sue riunioni clandestine. Per amore, la Fata offre al ragazzo la propria soffitta. Per amore, accetta le mezze verità di Carlos, gli incarichi rischiosi necessari per la Causa: le basta stargli accanto. Assillato da una moglie logorroica, tormentato da incubi d'infanzia e paure di morte, Pinochet va e viene dal proprio "retiro" del Cajón del Maipo, residenza estiva che domina Santiago dall'alto. Finché un giorno, lungo la strada rovente che scende verso la capitale, la sua pista si incrocia drammaticamente con quella di Carlos. Finché un giorno, dopo l'imboscata a Pinochet, Carlos e la Fata si trovano un'ultima volta di fronte. In tutt'altro scenario, tutt'altro attentato.
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Dettagli

2009
26 marzo 2009
218 p., Brossura
Tengo miedo torero
9788871685038
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

Come scorrere una garza sul passato, una tenda bruciacchiata che sventola alla finestra aperta di quella casa nella primavera dell’86. Un anno marchiato a fuoco dai copertoni fumanti per le strade di Santiago, schiacciata dal pattugliamento. Una Santiago che si svegliava al suono delle pentole sbattute nei cortei, ai lampi dei black out, per i cavi elettrici scoperti, esposti alle catene, alle scintille. Poi il buio pesto, le luci di un camion blindato, i fermo lì stronzo, gli spari e le corse a perdifiato, come nacchere di metallo che frantumavano le notti di feltro. Quelle notti funeree, trafitte dalle grida, dall’incessante “Cadrà”, e da tanti, tanti comunicati dell’ultimo minuto, sussurrati dall’onda sonora del “Diario de Cooperativa”.
Poi c’era la casetta macilenta, un angolo di tre piani con una scala vertebrale che portava in soffitta. Da lì si poteva vedere la città in penombra, coronata da un velo torbido di polvere. Era una piccionaia, una ringhiera per stendere le lenzuola, le tovaglie e le mutande inalberate dalle mani marimbe della Fata dell’angolo. Nelle sue mattine di finestre spalancate, cantava “Ho paura torero, ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca”.
Tutto il quartiere sapeva che il nuovo vicino era così, una novellina dell’isolato un po’ troppo fissata con quella costruzione in rovina. Una mammoletta dalle sopracciglia increspate che venne a chiedere se per caso affittavano quel rudere terremotato all’angolo.
Quel siparietto tenuto in piedi soltanto dall’arrivismo urbano di tempi migliori. Chiusa da tanti anni, così piena di sorci, fantasmi e scarafaggi che la fata fece sloggiare implacabile, con il piumino in una mano e la scopa nell’altra, spazzando ragnatele con la sua energia da checca, intonando in falsetto Lucho Gatica, tossendo “Besame mucho” nelle nuvole di polvere e ciarpame che accumulava sul bordo del marciapiede.
Gli manca solo il fidanzato, bisbigliavano le vecchie delle case di fronte, seguendo i suoi movimenti da colibrì alla finestra. Però è simpatico, dicevano, ascoltando le sue canzoni fuori moda, seguendo con la testa il tempo di quelle melodie del passato che svegliavano tutto il vicinato. Quella musica chiassosa che la mattina tirava giù dal letto i mariti nottambuli, i figli scioperati che si arrotolavano nelle lenzuola, gli studenti pigri che non volevano andare a scuola. Il grido di “Alleluia” intonato da Cecilia, una cantante in voga, era una sveglia, un canto di galli all’alba, un fragore musicale che la fata alzava al massimo volume. Come se avesse voluto condividere con il mondo intero il testo grossolano che strappava dal sonno i vicini con quel “E... tu mi prendeeraiii per maaanooo”.
Così la Fata dell’angolo, in men che non si dica, entrò a far parte della fauna sociale di quella Santiago di mezza tacca che si spulciava tra la disoccupazione e il quarto di zucchero preso a credito all’emporio. Una bottega di quartiere, epicentro delle chiacchiere e dei commenti sulla situazione politica del paese. Gli effetti dell’ultima protesta, le dichiarazioni dell’opposizione, le minacce del Dittatore, le elezioni di settembre. Che ora sì, che non ce n’è, che l’86 è l’anno. Che tutti al parco, al cimitero, con sale e limone per resistere ai lacrimogeni, e tanti, tanti comunicati strillati dalla radio permanente.

QUI COOPERATIVA, VI PARLA MANOLA ROBLES

Però lei non aveva testa per la politica. Anzi la spaventava ascoltare quella radio che dava solo cattive notizie. Quella radio che si sentiva ovunque con le sue canzoni di protesta e la sua tiritera allarmista che teneva tutti con il fiato sospeso. Lei preferiva sintonizzarsi sui programmi della nostalgia: “Al ritmo del cuore”, “Per chi è stato ragazzo”, “Notti di quartiere”. E così trascorreva pomeriggi interi, ricamando enormi tovaglie e lenzuola per qualche vecchia aristocratica che pagava bene il talento da aracnide delle sue mani. Quella casa primaverile dell’86 era il suo nido. Forse il suo unico vero amore, l’unico spazio tutto per sé che ebbe in vita sua la Fata dell’angolo.

Valutazioni e recensioni

RAFFAELLA CAPRIOLI
Recensioni: 5/5

Nel Chile oppresso dalla dittatura di Pinochet, dove tutto è proibito l'amore tra La Fata e Carlos serve come copertura a chi lotta contro il regime e mette in scena irrispettosi modi per spiare il dittatore. La prosa divertente contrasta la durezza delle scene. Un'opera di grande coraggio scritta da Lemebel, osteggiaot in patria e costretto, come tanti altri cileni, a vivere in esilio

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LAURA IANNUZZI
Recensioni: 4/5

In un Cile devastato dalla retorica e rumoreggiante dittatura di Pinochet, si staglia - a mo' di contraltare quasi- il silenzioso, sensuale e liricheggiante amore de La Fata per Carlos. Il primo, travestito sognatore e malinconico, il secondo, determinato e patriottico rivoluzionario devoto alla "causa". Per amore, La Fata accetta di nascondere nel segreto della soffita di casa sua le armi che Carlos e compagni stanno preparando per un imminente attentato ai danni di Pinochet, epilogo - quest'ultimo - drammatico del romanzo. Attraverso un'espressività fatta di immagini a tratti corpose e picaresche, a tratti liricheggianti e sensuali, "Ho paura torero" consegna alla lettura un messaggio suggestivo e accattivante per forma e contenuto. Sul piano formale, infatti, Lemebel si avvale di scelte linguistiche svariate come un pittore delle possibili tonalità della sua tavolozza. Il lettore, pertanto,avverte nella lettura la sensazione di attraversare le molteplici possibilità espressive del linguaggio, "trascolorando" da una tonalità all'altra con fluidità. L'amore, filo che tesse la trama del romanzo, conosce anch'esso molteplici forme espressive, passando da quello sensoriale per il canto, cui La Fata è legato per passione, a quello omosessuale de La Fata per Carlos, sino ad arrivare a quello "patrio" di Carlos per il suo Cile. In ogni caso è un amore che sembra sconoscere ostacoli, non già perchè gli ostacoli siano assenti, tutt'altro, ma perchè l'amore, quello vero, si affida al coraggio e all'incoscienza dell'amante: La Fata ama Carlos e lo fa con quella naturalezza e trasporto che sconoscono pregiudizio o vergogna, Carlos ama la sua patria in modo incondizionato e incurante della morte. A fronte di tali "animi di forte sentire", il personaggio di Pinochet appare una figurina di carta sottile e inconsistente, rispetto alla quale la logorroica e vischiosa consorte appare persino più interessante. E' l'immagine vuota e retorica del potere che di potente poi non ha nulla, se non mezzi materiali e arroganza. E' proprio grazie alla forza dei suoi contrasti che "Ho paura torero" affascina il lettore e gli dà la sensazione di assistere a un dramma malinconico dove però i buoni sentimenti, lungi dall'essere patinati da considerazioni paternalistiche, riescono a vincere la vera guerra: quella del vuoto e della desolazione interiore. Laura Iannuzzi

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Pedro Lemebel

1952, Santiago

Nato - come gli piaceva dire -  negli anni Cinquanta, vive una giovinezza indigente: «in casa mia non c'era nemmeno un libro, e se entrava un giornale, era avvolto intorno alla carne: carta macchiata di sangue».Nel 1987 fonda, insieme a Francisco Casas, il Collettivo artistico "Yeguas del Apocalipsis". Tra il 1987 e il 1995 il Collettivo realizza almeno quindici memorabili, eventi pubblici, mescolando performance provocatorie, trasformismo, fotografia, video e installazioni per rivendicare il diritto alla vita, alla memoria, alla libertà sessuale.Personaggio amatissimo dalla comunità omosessuale («non è che da piccolo mi piacesse giocare con le bambole: io volevo essere la bambola») e dalla sinistra del suo paese, Lemebel porta alla luce il...

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