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Souvannavong Vongprachanh ha quindici anni quando viene arrestata a Vientiane il 29 settembre 1975. 1139 giorni tra carceri e campi di lavori forzati sotto il regime comunista dei Pathet Lao. Souvannavong Vongprachanh viene arrestata perché non nascose mai la sua appartenenza al Lao Houam Samphan o Unione Nazionale Lao, partito che si opponeva sia al partito comunista che aveva optato con la guerriglia per la conquista violenta del potere e per la rivoluzione, sia al partito al governo, conservatore e sfiancato dalla guerra. Dopo anni di scontri, nel 1975 la presa di Saigon da parte dei Viet Cong e la conseguente ritirata americana hanno ormai spianato la strada al Pathet Lao, che rovescia il regime monarchico e istituisce la Repubblica Popolare Democratica del Laos. Il 29 settembre del 1975 Souvannavong Vongprachanh viene arrestata a Vientiane dai soldati del Néo Lao Hakxat; verrà internata per 161 giorni nel carcere di Samkhé, che prenderà poi il nome di Scuola di correzione del pensiero Ban Amone (ban significa villaggio, amone fiori). Dopo 161 giorni di carcere duro e sedute rivoluzionarie per l’autocritica, viene deportata nel campo di Napo, nella provincia di Phongsaly nel Laos settentrionale, per correggere il proprio modo di pensare attraverso lavori forzati, torture, sedute di autocritica, fame, malattie, sofferenze e privazioni mostruose per 466 giorni. 466 giorni in un campo in cui si viene schiacciati dal complesso e efficientissimo sistema di organizzazione e rivoluzione comunista: indrottinamento politico, negazione della personalità, diritti calpestati, lavori estenuanti e pericolosi, condizioni igieniche disastrose, fame, malattie non curate, esecuzioni sommarie, torture brutali, autodenuncia, sospetto e menzogna. “…Una volta impartito l’ordine, bisognava solo ubbidire. Sotto la pioggia o sotto il sole cocente, dissanguati dalle sanguisughe della foresta umida o assaliti dalle zanzare, uno solo era l’atteggiamento che dovevamo tenere: l’obbedienza…” “…La regola d’oro del perfetto seminario (prigioniero), ripetuta cento volte durante l’indrottinamento politico, era applicata alla lettera: «I Tre Bo: Bo Hou (non ho sentito), Bo Hén (non ho visto), e Bo Tiac (non so)»…” Dopo 466 giorni nel campo di Napo, Souvannavong Vongprachanh viene trasferita nuovamente nel carcere di Samkhé, dove ne aveva già trascorsi 161. Nel carcere il regolamento si era ulteriormente inasprito e le condizioni dei detenuti drammaticamente peggiorate. Dopo 33 giorni viene destinata ai campi delle isole del Nam Ngeum, immenso bacino artificiale di acqua dolce realizzato sommergendo quattro cantoni e sedici villaggi, dove “…vivevamo in un clima di terrore collettivo continuo; a poco a poco divenimmo insensibili al dolore e all’espressione umana dei sentimenti…” Nel campo i lavori forzati sono estenuanti e consistono principalmente nel taglio del bamboo. …”La quota fissata per ogni prigioniera era di 75 tronchi al giorno, lunghi da 5 a 8 metri e da 15 a 25 centimetri di diametro…” Indrottinamento politico, autocritica, fame, torture e soprusi è la lingua parlata dalla rieducazione: “…Ai fuggitivi riacciuffati, qualche volta, veniva riservato anche un altro trattamento: la lapidazione… …il supplizio fu largamente praticato perché era consono al sistema di rieducazione, che comportava la partecipazione collettiva al castigo dei colpevoli…” Dopo 468 giorni nel campo sul Nam Ngeum, viene rilasciata a Vientiane. L’11 novembre 1978, dopo 1139 giorni tra carceri e campi di lavoro, Souvannavong Vongprachanh torna libera, perché rieducata. A Vientiane rimane pochi mesi, perduta in una città e in un paese che non riconosce più, sospettoso, impaurito, triste, gregario, violento. Il 20 marzo 1979 la fuga dal Laos verso la Thailandia. Attraversa a nuoto il Mekong da Vientiane alla sponda thailandese e da lì fino in Francia, a Parigi per riabbracciare la madre e i fratelli. Storia e storie che non si leggono sui libri di scuola. http://rascarlo.wordpress.com
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