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Anno edizione: 2014
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Il disco si apre con il rock circolare de “Il canto delle sirene“, lungo brano che, nella struttura, senza un vero e proprio ritornello, si ispira dichiaratamente al “Jokerman” dylaniano di qualche anno prima, mentre nel testo, splendidamente ambiguo, evoca sia la necessità di contrastare l’arrembante ascesa dell’ideologia turboliberista, sempre più trionfante, sia questioni più strettamente intime e personali. Peccato solo per un arrangiamento pulitino (problema che caratterizza tutto il disco, prodotto in maniera molto professionale, ma senza quegli azzardi e quelle sporcizie sonore che avrebbero dato maggior forza alle musiche). Riguardo il resto del disco, mi limito a segnalarvi le canzoni di livello superiore, ad esempio “Pilota di guerra“, ispirata da Antoine de Saint-Exupéry, brano malinconico che unisce mirabilmente temi sociali, la guerra e l’orrore, e personali, la solitudine. Chitarra e tastiere per una musica adeguatissima ai testi, lenta e rassegnata. “Pane e castagne” è invece il pezzo che contiene la frase che dà il titolo al disco ed è un’altra canzone che gioca moltissimo con l’ambiguità di un testo che può esser letto sia in chiave sociale (il complicato attraversare le frontiere da parte di chi vuole andare a vivere e cercare fortuna in un altro paese), sia in chiave introspettiva (il percorso evolutivo/formativo che tutti compiamo). Questa doppia chiave, unita ad una melodia meravigliosa ed un arrangiamento pianocentrico di grande effetto, crea un piccolo miracolo passato purtroppo inosservato. Con “Nero” rientriamo più esplicitamente nelle questioni sociali: una canzone che, ascoltata oggi, sembra avere ancora più senso di ieri (il disco è del 1987), con questo ritratto, tutto in levare, di ordinaria emarginazione e ordinaria faticosa ricerca di un pezzetto di felicità. Bello il contrasto tra la musica allegrotta e la storia narrata fatta di sacrifici e umiliazioni (ma la canzone è del tutto priva di retorica). “Mimì sarà” è un altro dei pezzi forti del disco, ancora il pianoforte al centro del pezzo per una amara, molto amara, cronaca di fallimenti e bilanci personali che non tornano mai. Un brano struggente e commovente, aiutato in questo dagli archi arrangiati da Renato Serio. Infine “I matti”: un affettuoso ed empatico (e coraggioso) ritratto di tutte quelle persone che vengono sbrigativamente liquidate come strani o, appunto, matti. Anche qui il pianoforte al centro del brano con una specie di valzerino rallentato e un finale che sembra farli scivolare nel nulla, un brano che se lo si ascolta non può non colpire dove fa più male. Gli altri brani, tutti comunque validi, sono un gradino sotto, magari solo per una meno perfetta messa a fuoco, ma questo è un disco assolutamente compatto, senza cadute di tono, in cui il De Gregori maturo raggiunge la sua perfetta misura, una misura che forse non toccherà mai più.
Recensioni
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