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Anno 1982. Parecchia acqua è passata sotto i ponti dall'esordio del '74: una serie di album memorabili, fra i quali il capolavoro "Destroyer", seguiti da una svolta commerciale dal sapore disco music ("Dynasty", "Unmasked") che ha fatto discutere e causato il disappunto dei fan di vecchia data, per finire con un lavoro, tanto inusuale quanto sfortunato, come "The Elder". In tutto ciò, Paul e Gene sono rimasti i soli membri originali: Peter ha lasciato la band nel '69; Ace figura nella line-up solo apparentemente. Nonostante premesse così poco incoraggianti, i Kiss riescono a tirare fuori dal cilindro una gran bella prova discografica. Il "Figlio delle Stelle" e il "Demone" sono qui affiancati dalla "Volpe" (l'ottimo Eric Carr), dietro le pelli già dal precedente lavoro, e da dei session man assoldati per registrare le chitarre al posto dell'ormai latitante "Uomo Spaziale", il quale però compare comunque sulla copertina per rincuorare (o, meglio, illudere) i fan, come già detto, che la band originale, almeno per tre quarti, sia ancora impiedi. In realtà, in sede di registrazione, le sei corde vengono affidate prettamente ad un tale Vincent Cusano, il quale firma anche diverse canzoni, e che sarà presto noto come Vinnie Vincent, membro ufficiale della band nel tour che seguì l'album e nel successivo lavoro in studio. La qualità delle tracce contenute è notevole. Fra di esse spicca, senza ombra di dubbio, "I Love It Loud". Spetta all'ugola del Demone scandire quest'inno; quasi un manifesto programmatico dell'intero album, o anche, perché no, un esorcismo nei confronti delle rinnegate sbandate musicali degli anni precedenti. E' proprio Simmons che firma i momenti più celebri dell'album, divenuti dei classici della band e saldamente presenti ancora oggi nelle scalette dei live (la predetta traccia e "War Machine"). Un ultimo possente ruggito del Demone, che per replicare dovrà aspettare una decina d'anni, durante i quali lo Starchild sarà il protagonista indiscusso. Stanley regala comunque anch'egli delle ottime tracce, come la tagliente "Creatures of the Night", la struggente ballad "I Still Love You", nonché una perla poco nota che risponde al nome di "Danger". Un album solido, roccioso, a tratti oscuro, ben inscritto nella corrente di sferragliante metallurgia che prendeva piede in quegli anni, pur senza tradire l'anima hard rock dell band. Al tempo non ebbe il successo che meritava, principalmente perché si trovò ad essere schiacciato fra l'era dei costumi e make-up classici e l'imminente era dello "smascheramento" del quartetto. Musicalmente è già proiettato verso le nuove sonorità degli eighties, ma l'immagine della band, come è chiaro dalla copertina, è ancora quella dei seventies, rispetto alla quale il pubblico, evidentemente, non si sentiva più attratto e stimolato, complici anche gli scivoloni dei tre album precedenti. Se la decisione di abbandonare il cerone fosse stata presa in occasione di quest'album, ora staremmo di certo qui a parlare di "Creatures of the Night" come l'album della rinascita kissiana. Tale onoreficenza spetterà, invece, al successivo "Lick it up" ('83). Il resto è storia. Un full-lenght da riscoprire. Da piazzare fra i più artisticamente riusciti di tutta la ultraquarantennale produzione del Bacio.
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