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37 minuti e 1 solo secondo di autentico piacere per mente e cuore: questo è “The queen is dead”. Per l’esattezza 5 minuti e 56 secondi andrebbero sottratti. Ad essere onesti la traccia numero 2, “Frankly, Mr. Shankly”, è davvero goffa, ironica tutt’al più (in cui Moz rifà il verso a Frank Sinatra), ma stride con l’intensità del resto dei brani, e la traccia numero 4 “Never Had No One Ever” è decisamente noiosa. Oltre a queste due mediocrità andrebbero poi defalcati altri 2 minuti e 22 secondi, ovvero la durata del brano “Vicar in a Tutu”, una canzone che, se pure è un po’ più gradevole delle altre due menzionate, è comunque appena sufficiente. Di conseguenza non si può certo parlare di un lavoro da 5 stelle, sebbene per 2 volte è stato eletto il migliore disco di sempre, precisamente dalle riviste SPIN nel 1989 e Melody Maker il 29 dicembre 1999. Tuttavia è inconfutabile che sia un’opera imperdibile, perché contiene altre 7 vere meraviglie. Volendo peccare di pedanteria sarebbero 6. La brevità del testo di “Some Girls Are Bigger Than Others” non mi permette di dare un voto superiore a 8 e c’è anche la stessa ammissione di Morrissey: “la melodia è superiore al testo, lo riconosco”. Avrebbe dovuto impegnarsi un po’ di più 'Mozzer', giocare con le parole, lui che sa, lui che può, lui che è songwriter eccelso e che nell’elenco dei 100 geni viventi è stato posizionato al numero 94. Marr gli ha servito su un piatto d’argento una melodia pazzesca, con un intro volutamente difettoso o, la vicenda non è tuttora chiara, le curiose dissolvenze graduali del volume all’inizio del brano non sono state inserite di proposito ma semplicemente per errore. Per me 3 di queste 6 meraviglie sono le canzoni più belle mai scritte da Morrissey e musicate da Marr, ovvero “Bigmouth Strikes Again”, “There Is a Light That Never Goes Out” (che si trovano entrambe in tutti i best degli Smiths) e “I Know Its Over” (assente in alcune raccolte), che considero insieme a “Ariel” dei Cure (rintracciabile nella Deluxe Edition di “The Top”) la canzone struggente più bella di tutti i tempi, la perfetta colonna sonora per un funerale. Gli Inglesi vivono la morte in modo diverso, è una celebrazione che richiede anche della musica e da un sondaggio di qualche anno fa il triste primato spetta a James Blunt con “Goodbye my lover”. In questa classifica inglese dei brani più deprimenti e consigliati per una funeral ceremony compaiono anche gli Smiths ma con il pezzo “Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me” (che dire, de gustibus non disputandum est) e che è reperibile ormai soltanto in questo album dal titolo sovversivo e dalla cover cinematografica (la copertina raffigura l’attore francese Alain Delon, dal film del 1965 intitolato “L’insoumis”). Johnny Marr ha davvero dato il meglio di sé nel mettere in note i testi di Morrissey che sono, nel complesso, mera poesia, disperazione, ma che, in estremo, diventano elogio alla vita, in quanto quella “luce non si può spegnere mai”, brilla costantemente dentro ognuno di noi, annichilisce il desiderio di morte, e con Enrico Brizzi e Irvine Welsh tale espressione è persino entrata a far parte della letteratura, anche se si tratta di autori di libri di una raffinatezza minore rispetto alla produzione musicale di Morrissey e Marr, esattamente creatori dei bestsellers (pubblicati una decina di anni dopo “The Queen is dead”) “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” e “Trainspotting”. Un capitolo di quest’ultimo, infatti, porta il medesimo titolo dello straordinario pezzo degli Smiths con tanto di trascrizione di una strofa all’interno: «E se un camion di dieci tonnellate ci uccidesse entrambi, morire al tuo fianco sarebbe un piacere e un privilegio per me…E nel sottopassaggio buio pensai “Oh Dio, è arrivato il mio momento”, ma poi mi prese una strana paura e non fui più capace di chiedere. C’è una luce che non si spegne mai».
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