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La cortina di ferro. La disfatta dell'Europa dell'Est 1944-1956
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La cortina di ferro. La disfatta dell'Europa dell'Est 1944-1956 - Anne Applebaum - copertina
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cortina di ferro. La disfatta dell'Europa dell'Est 1944-1956

Descrizione



Anne Applebaum ricostruisce in dettaglio ogni fase dell'implacabile processo di stalinizzazione che travolse Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Germania orientale, Romania, Bulgaria, Albania e Iugoslavia, e che si realizzò attraverso il sistematico annientamento delle loro istituzioni.

Alla fine della seconda guerra mondiale l'Unione Sovietica si trovò a controllare gran parte dell'Europa orientale, e i suoi leader, che avevano instaurato con pugno di ferro nelle varie regioni dell'ex impero zarista un regime totalitario, non esitarono a imporlo anche ai paesi europei caduti sotto la loro occupazione. Così il tallone sovietico subentrò a quello nazifascista, e in un arco di tempo straordinariamente breve l'Est europeo venne isolato dietro una «cortina di ferro» in un senso ben più che metaforico: a separarlo dall'Occidente erano barriere e recinzioni di filo spinato sorvegliate da uomini armati. E nel 1961, l'anno in cui fu eretto il Muro di Berlino, si sarebbe detto che quel possente sbarramento fosse destinato a durare per sempre. Anne Applebaum ricostruisce in dettaglio ogni fase dell'implacabile processo di stalinizzazione che travolse Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Germania orientale, Romania, Bulgaria, Albania e Iugoslavia, e che si realizzò attraverso il sistematico annientamento delle loro istituzioni: partiti politici, Chiesa, media e organizzazioni giovanili furono ben presto liquidati o messi al bando. In quest'opera di disarticolazione della classe politica e della società civile ebbe un ruolo fondamentale, accuratamente studiato già negli anni del conflitto, la polizia segreta, abile e spietata nell'individuare e soffocare ogni forma di opposizione o di potenziale dissenso. A tale scopo, rivelando impressionanti affinità con il Terzo Reich, gli occupanti ripristinarono i campi di sterminio di Sachsenhausen, Buchenwald e Auschwitz come «campi di lavoro», senza apprezzabili differenze nel tasso di mortalità fra i detenuti. Attingendo a materiale d'archivio divenuto accessibile solo da poco, a numerose fonti in lingua polacca, cecoslovacca, ungherese e alle testimonianze raccolte intervistando molti protagonisti di quegli anni bui, l'autrice analizza le ragioni che guidarono le scelte dei singoli individui fra le poche opzioni in gioco: collaborare con il regime imposto, subirlo passivamente o opporre una strenua resistenza, con conseguenze spesso drammatiche. Un passo avanti decisivo nella comprensione del totalitarismo nel XX secolo e del modo in cui è riuscito a plasmare la vita quotidiana e il destino di milioni di europei.
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Dettagli

2016
10 maggio 2016
638 p., ill. , Rilegato
Iron curtain
9788804663188
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Indice


Indice

Nota su abbreviazioni e acronimi
Introduzione

Parte prima. Falsa alba
I. Ora zero
II. Vincitori
III. Comunisti
IV. Poliziotti
V. Violenza
VI. Pulizia etnica
VII. Giovani
VIII. Radio
IX. Politica
X. Economia

Parte seconda. Tardo stalinismo
XI. Nemici reazionari
XII. Nemici interni
XIII. Homo sovieticus
XIV. Realismo socialista
XV. Città ideali
XVI. Collaboratori riluttanti
XVII. Oppositori passivi
XVIII. Rivoluzioni
Epilogo

Intervistati
Note
Bibliografia scelta
Ringraziamenti
Referenze iconografiche
Indice dei nomi

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 2/5

“Lungo il loro fronte è stata calata una cortina di ferro. Non sappiamo cosa stia accadendo dietro di essa”: queste le parole rivolte da Churchill al presidente statunitense Truman, in una lettera datata nel maggio del 1945 – tre mesi dopo la conferenza di Jalta cui i due hanno partecipato in compagnia di Stalin. La stessa definizione, “cortina di ferro”, sarà utilizzata dal premier britannico in un discorso l’anno successivo a Fulton (Missouri, USA) ed entrerà nel linguaggio comune per definire la situazione creatasi dopo la fine della seconda guerra mondiale. L’Europa dell’est di fatto è caduta sotto il patrocinio dell’Unione Sovietica e non intende (o non può?) più comunicare con l’esterno. Quel che avviene in Romania, Ungheria, Polonia e persino Germania orientale viene presentato dai megafoni del partito comunista ed è evidentemente falso: si favoleggia sulla costruzione di un eden quando invece la gente s’immiserisce e viene privata della libertà d’espressione. Ma la Russia, si sa, è stata la prima nazione a sconfiggere Hitler e quindi non può essere disturbata più di tanto, men che meno con domande scomode. Non tutti si fanno illusioni sul quel che succede al di là della “cortina di ferro” ma la verità verrà alla luce solo a tre anni dalla morte di Stalin. Sarà Nikita Chruš?ëv, nel XX Congresso del PCUS, ad aprire uno squarcio su una delle pagine più buie della nostra storia. Quest’anno si è “festeggiato” (per così dire) il 60° anniversario di quell’evento e da noi arriva, a mo’ di cadeau, il libro di Anne Applebaum in verità pubblicato negli USA nel 2012. Autrice di un altro, imponente (700 e passa pagine) e, secondo molti, importante saggio dedicato alla storia dei gulag sovietici (Gulag: A History, 2003), l’autrice statunitense presenta con ‘Iron Curtain: The Crushing of Eastern Europe’ il progetto di una vera e propria impresa: una storia globale ovvero politica, sociale e culturale, dell’Europa sovietizzata. Non mancano certamente opere sull’argomento, ma in genere l’approccio utilizzato è più particolare: pertanto abbiamo saggi sulla DDR o sulla Jugoslavia di Tito o ancora sulla questione polacca. Non so quanti abbiano invece tentato di raccontare una storia generale e onnicomprensiva di tante e tali realtà. L’obiettivo della Applebaum è trovare, fra i casi presi in esame, il filo rosso che permetta di stabilire i punti nodali della strategia comunista nella sua espansione nel continente. La ricerca impiega un enorme lavoro di raccolta e confronto di fonti, alcune fra loro anche assai lontane. E si presta purtroppo agli effetti collaterali di una simile impostazione. So che certe cose non andrebbero dette, e specialmente di una signora. Ma credo che la Applebaum, pur essendo sposata a un politico polacco, presenti la caratteristica visione americana dei fatti extra-americani. Ai suoi occhi, infatti, l’Europa dell’est è una sorta di magma fondamentalmente unitario, un insieme di popoli e nazioni tra loro distinti per pochi dettagli e quindi studiabili in blocco. Quel che succede in Polonia non differisce da quel che avviene nell’ex-Cecoslovacchia. In Romania il partito comunista agisce come in Ungheria. Sono tutti una grande famiglia, come gli ‘arabi’ per noi sono tutti uguali dal Marocco al Pakistan. Il libro si concretizza così, a dispetto delle ottime intenzioni, come un affastellamento di eventi, dati e aneddoti estrapolati dal contesto e messi insieme al fine di dimostrare le tesi di fondo. Il risultato diventa così una confusa affermazione di fatti superficiali (quando non arcinoti) ma non un vero e proprio ragionamento. L’autrice avrebbe fatto meglio a restringere lo studio a un oggetto più specifico (la Polonia? la DDR?) provando magari a riconoscere lì gli indizi di quello che va cercando. E soprattutto evitando di porre a paragone situazioni e storie che fra loro, a dispetto delle apparenze, c’entrano poco.

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Anne Applebaum

1964, Washington

Giornalista e saggista statunitense, naturalizzata polacca, è stata tra l’altro editorialista del «Washington Post», vicedirettore e capo dei servizi esteri dello «Spectator» e corrispondente da Varsavia per l’«Economist». Ha scritto Between East and West (1994), resoconto di un viaggio attraverso Lituania, Ucraina e Bielorussia compiuto all’indomani del crollo dell’Unione Sovietica, Gulag (premio Pulitzer nel 2004; Mondadori, 2017) e La cortina di ferro (Mondadori, 2012), La grande carestia (Mondadori, 2019).Nel 2019 le è stato assegnato il Premio Nonino Un maestro del nostro tempo, e nella motivazione si legge: "e` una delle piu` grandi testimoni morali del nostro tempo, e una fra i piu` importanti intellettuali...

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