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E' stata dura scrivere una recensione su questo libro, ma volevo fermare nel tempo le mie impressioni prima che sfuggissero, quindi me la sono appuntata via via per poi ottenere un commento incoerente, lungo, sgrammaticato. E' stata dura anche leggere questo libro. Scritto in giapponese fra il 1000 ed il 1008 e riconosciuto come uno dei più antichi romanzi nella storia dell'umanità (prima ancora delle chansons de geste - ca. 1050 - o dei romanzi cortesi - ca. 1170 - occidentali...ma dei classici sumero-greco-romani non teniamo conto?) come potevo raffrontarmici io? Lo dovevo rapportare con la mia sensibilità o essere oggettiva?! dargli due stelline? tre? La mia soluzione è la soggettività, almeno nelle mie letture sarò pur libera di giudicare a mio piacere ;-) Il tomone spaventa a prima vista! In più di mille pagine scritte fitte fitte non racchiude nemmeno tutti i capitoli dell'originale, in quanto frutto di una duplice traduzione da giapponese ad inglese (un pò libera) e quindi ad italiano e mancando dei capitoli finali in cui il protagonista non è più il nostro Genji. Pare che da anni sia in fieri una nuova traduzione "diretta", ma per ora questo ci basti. Contemporanea di Sei Shonagon, l'autrice Murasaki Shikibu non riporta le sue riflessioni in un diario come la succitata, ma crea un vero e proprio romanzo che è considerato il primo classico della cultura giapponese. Ella narra dettagliatamente della vita del principe splendente. Le vicende di questo mondo ristretto, elitario, protetto e quasi claustrofobico sono viste dal privilegiato scranno del principe Genji, figlio "illegittimo" (di una concubina) dell'imperatore. Sono quindi narrate le storie di principi, donne, amori che gravitano attorno all'imperatore (/i) ed al principe. Genji è bellissimo, è avulso agli intrighi di palazzo ed alle strategie per il potere, almeno nella sua gioventù: Abbiano pure i re i loro palazzi di giada; in una capanna di frasche si può dormire in due. Egli infatti o dorme, nelle situazioni più assurde tanto da sembrarmi preda della narcolessia, o va a donne in modo compulsivo, tanto che alle volte si accontenta anche dei fratelli minori delle stesse. In genere è l'inesplorato ad attrarci, e Genji era incline a innamorarsi più profondamente proprio di quelle che meno lo incoraggiavano. In fondo è la disciplina del karma a guidarlo, ma a me all'inizio mette tanto il nervoso che mi sento arenata sulla spiaggia dell'indolenza: non che il libro non sia bello ma ha qualcosa che di certo non ti attacca alle sue pagine con la brama di finirlo in una notte. Insomma fin qui due stelle. Poi più avanti la situazione si sblocca (intorno a pagina 250) e viene voglia di leggerlo anche al lavoro, tre stelle piene per arrivare al penultimo capitolo a 4 stelle...la storia forse diventa più fluente, o più coerente, avvengono diversi eventi che non ci fanno più vedere Genji come il signorino favorito ma anche come una persona che ha cura di amici ed amanti e che matura nel tempo, cresce di età e di idee. L'opera presenta diverse difficoltà per il lettore moderno: la grammatica complessa, il fatto che i personaggi non sono chiamati col proprio nome bensì facendo riferimento al rango od al colore degli abiti, l'importanza della poesia nella conversazione spesso citata per comunicare attraverso sottili allusioni. La traduzione è scorrevole anche se lo stile è alterno, perlopiù lineare rende il libro a tratti incantevole coi suoi continui rimandi alle poesie ed alla natura. Si vede in questa opera l'ammirazione che all'epoca (IX sec.) aveva il Giappone per la Cina, da cui prese calligrafia, poesie, strumenti musicali, opere letterarie; la cura del cerimoniale, dai vestiti agli accessori, dai profumi ai fiori, che si distingue anche nell'accuratezza rivolta al scegliere la carta adatta alla scrittura ed alla forma da dare ai propri pensieri compresa la calligrafia; la religione molteplice ed adattabile tra scintoismo e buddismo con molta flessibilità che potrebbe quasi essere tacciata di opportunismo. Tutto è così distante, diverso sia per tempo che per luogo che per modo che talvolta i sentimenti di allora ci paiono irraggiungibili ed incomprensibili. Altre volte invece i linguaggi sono universali e commuovono ancora per la loro freschezza e verità, soprattutto quando si parla della magnifica figura di Murasaki. Il libro è scritto da una donna, ma non tratta sempre bene le donne, seguendo forse la dottrina buddista per cui se non fossero fondalmentalmente malvage, non sarebbero nate donne. Genji talvolta è assai ingiusto anche se coi canoni di allora il suo comportamento risulterebbe ideale. Il modo con cui tratta Murasaki, prima quasi la rapisce, poi la cresce come un padre e poi decide di averla, la tradisce ripetutamente lamentandosi con lei del fatto che sia gelosa, mi ha fatto rabbia! Ma certo diverse erano le condizioni dell'epoca, dame che vivevano appartate dietro paraventi, bambini cresciuti da balie o adottati da sconosciuti. Tutto è descritto così nei minimi particolari che il libro spiazza quando decide di non narrare eventi fondamentali (morti, amori). Da sorbire a piccole dosi, con filosofia, così come le vicende narrate sottostanno in ogni particolare al karma.
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