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Cesare Pavese ha voluto mostrare, in una singola persona, due tipologie, due comportamenti nei confronti della guerra, come se ci fossero due Corrado (il protagonista). Una tipologia era quella dell'uomo misantropo, che vuole allontanarsi dalla società e dal rumore della guerra, rifugiandosi in un luogo idilliaco, quale la collina, in cui poter osservare il mondo dall'esterno, la città che brucia e che urla poichè la guerra la sta massacrando. L'altra figura è quella di un uomo che spera nella guerra, con un senso abbastanza cinico e freddo nei confronti di quello che sta accadendo. Un uomo che sebbene cerchi di allontanarsi dalla battaglia, ne sente comunque l'eco, qualsiasi parte lui vada. Vengono mostrati i dolori di un uomo che si vede tagliato in due parti: da un lato l'uomo solitario, che ama passeggiare tra i boschi con il suo unico vero amico: il cane Belbo; mentre dall'altro lato abbiamo l'uomo che vuol godere della compagnia di un gruppo di persone che si ritrova quotidianamente all'osteria sulle colline, all'insegna di danze, canzonette e discorsi sulla guerra.
Noiosissimo! A stento son riuscita a leggere fino a metà libro: l'altra metà? Beh non ce l'ho fatta! Troppo troppo pesante.
E' un libro ancora oggi sottile, con un misto di dolcezza e di crudi fatti storici. In poche pagine si ritrae un'epoca e uno spaccato di vite: inquiete, sofferte, combattute. Ma di grande ricchezza interiore. Anche il linguaggio, apparentemente desueto, aiuta ad entrare in un clima. Credo sia uno dei più bei libri italiani del secolo scorso. Lontano anni luce dalla febbre dei modalioli del noir, o da chi, assuefatto ai tempi veloci di tutto ciò che 'funziona' , vorrebbe ritmi televisivi, senza fiato e gusto per pensiero, delicatezza di colori e sentimenti.
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