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1959 - David di Donatello - Miglior attrice - Magnani Anna
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Tratto da un romanzo di Isa Mari "Roma, Via delle Mantellate" il film di Castellani ci mostra uno spaccato di vita in un carcere femminile del dopoguerra. Sono donne rinchiuse in un carcere gestito da suore, che qui mostrano anche il volto di gelide carceriere. Il film interpretato quasi esclusivamente da donne si svolge interamente all'interno del carcere; i personaggi interagiscono con il mondo esterno quasi esclusivamente attraverso i racconti delle protagoniste, le loro voci talvolta sguaiate, i loro canti, le loro grida, spesso altissime, i loro passa-parola, oppure i silenzi e anche attraverso piccoli oggetti complici di visioni sul mondo esterno. Attraverso i loro racconti queste donne ci mostrano il loro rapporto con gli uomini che hanno segnato la loro vita e in un certo senso anche il loro destino, uomini artefici della loro reclusione. Nel carcere si creano complicità, amicizie e inimicizie, dipendenze, relazioni di amore e odio e anche di tipo lesbico. Emergono tra le tante, le due protagoniste principali, una l'esatto contrario dell'altra: la Egle,magistralmente impersonata da Anna Magnani è la donna vissuta, cinica e apparentemente indifferente a ciò che la circonda nel carcere, ma è anche la "dominatrice" del gruppo delle compagne di sventura a cui fa da contraltare la figura candida, quasi immacolata, di Lina, l'ultima arrivata, la servetta accusata di un furto in casa della sua datrice di lavoro ma in realtà "usata" dal fidanzato per effettuare il colpo. Il personaggio della servetta "ingannata", anche se con modalità diverse appare, anche nel più famoso film di Monicelli "I soliti ignoti" uscito nello stesso anno, quasi a dimostrazione di una realtà italiana, quella del secondo dopoguerra che costringeva molte donne di paese a migrare nelle grandi città dove era più facile trovare lavoro, principalmente per offrire servizi domestici presso famiglie borghesi e il cui impatto con una realtà completamente diversa si dimostrava talvolta dirompente. Ma il personaggio di Lina in questo film supera ogni possibile realistica immaginazione; nella prima parte del film la sua immacolatezza e la sua ingenuità, (anche nel nome non vi è forse la ricerca di un candore?), la rendono una figura poetica, evanescente, quasi irreale. Nella prima parte del film sembra ricalcare il personaggio di Gelsomina di Fellini, nel "La Strada". Qui, vittima di un fidanzato dal nome quanto mai evocativo, come quello di "Adone", un bellimbusto impomatato, bugiardo e truffaldino, Lina sembra vacillare e soccombere sotto il peso degli avvenimenti che l'hanno travolta. Sola e disperata trova nelle parole, nei gesti e negli "ordini" dell'esperta Egle, una guida in grado di dargli i consigli giusti, un invito che è quasi un dogma a farsi più furba e quella carica di vitalità in grado di restituirgli la fiducia e il coraggio per ricominciare ad affrontare la vita una volta uscita dal carcere. La lezione di Egle, suo malgrado, sara' cosi' ben seguita da Lina che il suo rientro nel carcere, che immaginiamo dopo una retata notturna, ce la mostrera' completamente trasformata nello spirito e nell'aspetto. Elegantemente vestita, sicura di se, allegra e pronta a raccontare le sue ultime avventure alla Egle che pero' ora non solo non sembra gradire piu' la sua amicizia. Piu' che il timore, la certezza che questa trasformazione sia sopratutto opera sua, la terrorizza e in una scena straziante la vediamo tentare di allontanare da se quell'idea, quell'immagine, strappando a Lina i vestiti di dosso nel tentativo, vano, di negare a se stessa, il risultato del suo operato. Egle è il personaggio carismatico; è la donna apparentemente cinica, provata dalle tante, troppe delusioni, la donna che frequenta in carcere come un albergo, vive scambiando il giorno con la notte, forse anche per l'abitudine, controllando e deludendo le aspettative delle compagne, ma è anche un personaggio tutto proiettato verso l'esterno e positivo nel riconoscere, seppure con amarezza, un destino diverso dal suo, quando la più giovane di esse riesce a coronare finalmente le sue speranze o quando si offre per far lavorare la ragazza infanticida allontanata da tutte. Il suo disincanto lascia spazio ad una grandezza d'animo che la fa "volare" in alto, e la rende umana e reale. Castellani, a mio avviso, più che un film, più che una storia di alcune sfortunate donne, ci ha voluto mostrare un documentario, freddo e pungente della condizione femminile nel contesto storico del dopoguerra, ma che potrebbe essere letto anche in chiave attuale. Gianna Maestrelli
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