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«Sulle orme di Swift, e in anticipo su Christopher Lasch, un dissacrante pamphlet sul narcisismo id un'epoca dove l'unico imperativo è: "Apparire"» - Stenio Solinas
«Edizioni Settecolori ha rimandato in libreria, dopo un lungo oblio, Elogio della vanità di Giuseppe Berto. E’ inutile dire che sia un gioiello, meglio quindi affondare subito i denti nella carne testuale che se da un lato si apre con la solita ascetica citazione di Ecclesiaste (vanitas vanitatum et omnia vanitas) dall’altro è subito ingrassata dalla fieristica ironia di Thackery “sì, d’accordo, tutto è vanità: ma chi confesserà di non volerne una fetta?”. E basta questo inizio per dare la dimensione dell’intero pamphlet in bilico tra critica di costume, realistico disincanto, ironia e psicoanalisi.» - Il Foglio
Scritto nella primavera del '65 per quella che avrebbe dovuto essere la Strenna della Rizzoli. Berto pochi mesi prima aveva pubblicato "Il male oscuro" romanzo di cui stava - vanitosamente - assaporando le fortune mediatiche. Un pamphlet di un autore eretico, sul peggiore dei peccati umani, prima «censurato», poi casualmente perduto, rimasto di fatto inedito per quasi cinquant'anni. Attraverso lo specchio deformante della vanità Giuseppe Berto immortala l'inutile agitarsi di una società, la nostra, orfana di qualsiasi criterio di discernimento e del furore della rivolta. Al liquefarsi di tutto, non rimane che combattere giorno per giorno per preservare dal maligno la propria coscienza. Il resto non è vanità, ma semplicemente «vano».
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