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Perché il Sud è rimasto indietro
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Perché il Sud è rimasto indietro - Emanuele Felice - copertina
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Perché il Sud è rimasto indietro

Descrizione


Pil pro capite, condizioni di vita, diritti sociali, libertà civili dicono che il Mezzogiorno rimane arretrato rispetto all'Italia e all'Europa. Varie le spiegazioni, che vanno da una presunta «diversità genetica» dei meridionali alla sfavorevole collocazione geografica. Secondo l'autore, sono state le classi dirigenti meridionali a ritardare lo sviluppo, dirottando le risorse verso la rendita più che verso gli usi produttivi. Per cominciare a colmare il divario, al Sud occorre dunque modificare la società, spezzando le catene socio-istituzionali che la condannano all'arretratezza.
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Dettagli

2016
Tascabile
8 settembre 2016
264 p., Brossura
9788815266101
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Indice

Introduzione
I. Il divario all'Unità
1. Le precondizioni
2. Il reddito
3. Le condizioni di vita
4. Povertà della natura e miseria degli uomini
5. Perché nasce la mafia?
II. La modernizzazione passiva: il divario dall'Unità a oggi
1. La modernizzazione
2. L'industrializzazione attiva: il Centro-Nord
3. L'industrializzazione passiva: il Mezzogiorno
4. Istruzione
5. Salute
6. Lo sviluppo umano e civile
7. Perché la mafia non è stata sconfitta?
III. Perché il Sud è rimasto indietro?
1. La razza maledetta
2. L'etica
3. La geografia
4. Sfruttati, ma da chi?
5. L'uomo al centro della storia
Conclusioni
Indice dei nomi

Valutazioni e recensioni

Renzo Montagnoli
Recensioni: 5/5

Da un po’ di tempo è in atto un revisionismo storico del nostro Risorgimento relativamente all’annessione del Meridione al Regno d’Italia, con il quale si vuole dimostrare come il Mezzogiorno, prima prospero e florido, sia stato sistematicamente spogliato delle sue risorse, tutto a beneficio del Nord, determinando quell’arretratezza economica che tuttora, purtroppo, lo caratterizza. I dati su cui si basano queste asserzioni sono del tutto inattendibili e per così dire campati in aria, tanto che è possibile affermare che coloro che portano avanti questa storiella, chiamati anche neo-borbonici, nulla fanno per determinare gli autentici motivi della debolezza del nostro Sud, impedendo così di fatto la ricerca delle indispensabili soluzioni. La materia deve essere ovviamente oggetto di studi seri che solo gli storici economici possono fare; al riguardo, proprio un meridionale, Emanuele Felice ha scritto un saggio di estremo interesse, intitolato Perchè il Sud è rimasto indietro. Nelle sue ricerche, ampiamente documentate, è dovuto a ricorrere a sperimentazioni, anche statistiche, di cui ha riportato il metodo; ciò è stato tanto più necessario ove si consideri che certi dati economici oggi di uso corrente all’epoca erano ignorati, ma soprattutto si è basato sulle correlazioni per verificarne o meno l’attendibilità. Così in epoca preunitaria, con riferimento all’anno 1861, possiamo vedere come il prodotto interno lordo del Sud differisse di poco (in meno) rispetto a quello del Nord (c’è da dire peraltro che entrambi gli indicatori sono piuttosto bassi rispetto a quelli di altri paesi europei, perché lo sviluppo industriale in Italia non era ancora arrivato, anche se il Nord aveva tutto il substrato necessario per parteciparvi a pieno titolo, a differenza di un meridione intrinsecamente debole). Se si vanno a vedere gli altri indicatori, però, è possibile determinare senza ombra di dubbio come il divario Nord-Sud sia sicuramente anteriore all’Unità d’Italia; infatti, strutturalmente si tratta di due entità agli antipodi, con il Nord che può contare su un regime più moderno, cioè una monarchia costituzionale, e il Regno delle Due Sicilie invece ingloriosamente racchiuso in una struttura istituzionale del tipo antecedente la rivoluzione francese; non sono nemmeno paragonabili le indispensabili infrastrutture, con le ferrovie che al Sud arrivavano a malapena a 99 Km., mentre Liguri e Piemontesi ne avevano per 850 Km.e il Lombardo-Veneto per 522 Km.; inoltre il supporto finanziario si basava nel Mezzogiorno su solo due banche, contro le decine che vi erano in Settentrione, e la circolazione monetaria era al Sud basata sulle antiquate monete, peraltro nelle mani di pochi; per quanto concerne l’analfabetismo in Piemonte era il 49% e in Lombardia il 51%, in Meridione l’86%; anche il grado di povertà era ampiamente diverso, tanto che al Centro-Nord chi viveva al di sotto della soglia di povertà era il 37%, mentre al Sud ben il 52%. Quindi, altro che paese felice come certe teste vanno predicando, anzi era un Regno prossimo al disfacimento, su cui avevano messo gli occhi, per il dominio nel Mediterraneo, Francesi e Inglesi, con questi ultimi che ritennero che il male minore fosse che subentrassero gli italiani. Ci sarebbero da scrivere pagine e pagine di questo libro di piacevole lettura, ma che esige delle indispensabili nozioni di Scienze Economiche e pertanto mi limiterò alle conclusioni, secondo le quali chi ha soffocato il Mezzogiorno sono state state le sue stesse classi dirigenti, peraltro poche in una società che vedeva un ristretto numero di detentori di ricchezza e una massa proletaria, con una sparuta percentuale borghese, per lo più di carattere burocratico; insomma non c’era il tanto indispensabile ceto medio e così chi era ricco, anziché rischiare capitali in nuove attività, preferiva una rendita di posizione. Di conseguenza ecco il risultato che emerge nel saggio: Questa interpretazione della differenza di sviluppo del Sud rispetto al Nord-Ovest e al Nord-Est-Centro consente di intravedere gli elementi portanti di una strategia di superamento della differenza di sviluppo. Una strategia che non si basa più sulla richiesta di nuove leggi speciali o di nuovi trasferimenti aggiuntivi di risorse come risarcimento di un’inferiorità che si presume procurata dall’esterno o a saldo di nuovi strumenti di perequazione, ma una strategia che «dovrebbe puntare invece a modificare radicalmente la società meridionale, spezzando le catene socio-istituzionali che condannano la maggioranza dei suoi abitanti a una vita peggiore di quella dei loro concittadini del Nord: annientare la criminalità organizzata, eliminare il clientelismo, rompere il giogo dei privilegi e delle rendite. Riconvertire cioè le istituzioni del Mezzogiorno da estrattive a inclusive, passando per la trasformazione delle strutture sottostanti». Al riguardo ritengo opportuno chiarire il significato di due termini: poichè le istituzioni politiche ed economiche sono aspetti prioritari per lo sviluppo di un paese, queste possono essere inclusive se favoriscono il coinvolgimento dei cittadini e quindi, grazie anche alla crescita economica, lo sviluppo civile e umano, mentre sono estrattive qualora finalizzate ad estrarre rendite destinate a una minoranza di privilegiati. Il libro di Felice è senz’altro di notevole interesse.

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Emanuele Felice

1977, Lanciano

Emanuele Felice è un saggista, storico dell'economia e docente universitario. Ha collaborato con testate come La Stampa, Repubblica e L'Espresso. Si occupa in prevalenza della storia economica d'Italia e del rapporto fra capitalismo e democrazia. Ha pubblicato diversi saggi per il Mulino, tra cui: Perché il Sud è rimasto indietro (2013 e 2016), Ascesa e declino. Storia economica d'Italia (2015 e 2018), Storia economica della felicità (2017), Il sud, l'Italia, l'Europa. Diario civile (2019), Dubai, l'ultima utopia (2020), La conquista dei diritti. Un'idea della storia (2022), Libertà contro libertà. Un duello sulla società aperta (2024), scritto insieme ad Alberto Mingardi.Fonte immagine: Mulino Editore

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