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La storia di una famiglia genovese, seguita su quattro generazioni, diviene un brano della storia europea illuminando il destino dei grandi capitalisti costretti a muoversi nel Seicento fra l'onore e il mercato, al servizio del re e dell'imperatore.
La storia di Genova -si dice da tempo – è storia di famiglie (consorzi, alberghi, dinastie neofeudali e finanziarie) e questa è la ragione, si aggiunge, del carattere privatistico della Repubblica; ma la storia di queste famiglie cosmopolite non è stata finora nemmeno tentata. L’autore mostra che scriverla è possibile, anche in assenza di solidi e coerenti fondi familiari come nel caso dei Balbi fra Cinque e Seicento. Le vicende dei Balbi-Cepollina, una famiglia di origine polceverasca, sono ricostruite a partire dall’ascrizione al “Liber Civilitatis” di Nicolò I, setaiolo e capostipite; poi attraverso le compagnie di fratria che i figli e i nipoti costituiscono per praticare la mercatura fra Genova, Anversa, la Sicilia, la Spagna e Venezia, e lanciarsi infine nell’avventura dei prestiti al re di Spagna, dal 1598 al 1658 – prima ad Anversa e poi a Madrid dove Nicolò II e il fratello abate Antonio assumono rango di grandi asientisti del re. L’estensione degli interessi dei Balbi al mercurio di Idria, destinato a Siviglia, li conduce ad altri asientos madrileni ma anche alla gestione in proprio dell’appalto di quelle miniere dall’imperatore, mentre già dal 1625 essi intervengono massicciamente presso la Camera di Milano in Soccorso della politica spagnola. A servizio insieme del re e dell’imperatore, ai quali risultano legati anche da obblighi d’onore, la compagnia dei Balbi conosce la lunga crisi che la comprometterà definitivamente, a vantaggio del ramo staccatosi precocemente (1585), le cui fortune sono riunite da Francesco Maria marchese di Piovera (1650). La congiura di Gio Paolo (1648) il gioco diverso delle fortune drammatizzano cosí i destini di una famiglia che autore segue altresí nelle sue attività culturali e di prestigio – fra una straordinaria biblioteca, i grandiosi palazzi della “via dei Balbi”, il Collegio dei Gesuiti e le collezioni d’arte -, proiettandola nel quadro storico del patriziato genovese e richiamando il complesso protagonismo delle “ragazze Balbi” soprattutto attraverso le “cifre” della micropolitica patrimoniale personale (doti, rivendicazioni e ricomposizione delle doti) e della solidarietà di lignaggio.
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