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Anno edizione: 2011
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«Nessuna Silvia era mai venuta, ma egli continuava ad aspettarla. Poco si occupò del figlio, assai poco. Soltanto gli alberi del frutteto, i fiori e gli ortaggi erano cose vive per lui.»
Venti famiglie. Un piccolo villaggio, all'inizio del '900, in una fertile vallata della California centrale. È lo scenario del primo libro importante di John Steinbeck, I pascoli del cielo, che fu pubblicato nel 1932 e tradotto da Elio Vittorini nel 1940. Si compone di dodici capitoli ma non è propriamente un romanzo perché a tenere insieme le diverse vicende, ciascuna conchiusa in sé, di questo piccolo capolavoro non sono i personaggi ma l'ambientazione – il rapporto dei contadini con la natura circostante – e, soprattutto, il tema del misterioso insinuarsi del male in un luogo che all'occhio umano appare come l'ingannevole replica del Giardino dell'Eden.
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La penna di Steinbeck è sempre riconoscibile e impeccabile.. in questo suo primo libro ci sono già tutti i temi tanto cari all'autore che ritroveremo in tutti i suoi romanzi... Siamo di fronte a dodici racconti indipendenti, tutti ambientati nella ridente e fertile valle della California denominata Pascoli del Cielo dove gli abitanti, ben caratterizzati e delineati, vivono la loro vita, animati da sogni e aspettative, speranza e fiducia e devono misurarsi con il male, la delusione, episodi infausti e morte.. Contrariamente a quanto un occhio poco attento e superficiale possa scorgere o immaginare, vivere in un "Paradiso terrestre", nella natura rigogliosa e fiorente, non è sinonimo di vita facile e agiata..
E' a poco a poco che ci si accorge di avere a che fare con un libro meraviglioso, mentre gli episodi di vita di cui è composto questo romanzo antologico corale si snodano e passano. A conquistare è l'empatia di rara intensità che Steinbeck (con stile sobrio, quasi primitivo, e una scrittura chiara, lucida e misurata) sa generare: grazie alla quale sentiamo fortemente appartenerci ogni sentimento, emozione, rimpianto o dramma che agita i protagonisti (figure alle quali il destino nega sempre di essere appieno felici nonostante abbia loro riservato di poggiare i piedi su una landa simile ad un Eden per rigoglio e bellezza).
Correva l’anno di grazia 1776 quando un militare spagnolo, alla ricerca di alcuni indiani convertiti e fuggiti da una missione della California, s’imbatté, sulla strada del ritorno, in una valle rigogliosa, verdissima, popolata di cervi, che lo portò alla commozione, tanto era bella da essere mistica. Disse, allora: “Questi sono i verdi pascoli del cielo ai quali il Signore ci conduce!”. E’ da quell’epoca che quella valle viene chiamata Las pasturas del cielo, cioè I pascoli del cielo. Terra assai fertile, di facile coltivazione, lontana dalla civiltà rampante, rimase libera, selvaggia, primordiale. Questa valle è il tema dominante di una raccolta di racconti scritta da John Steinbeck e pubblicata con il titolo I Pascoli del cielo nel 1932. Tradotta l’opera da Elio Vittorini si cercò forzatamente, per la matrice comune dei testi, di considerarla un romanzo e ciò per fini commerciali, perché stranamente da noi la prosa breve non gode di particolari favori. Eppure, qui ci troviamo di fronte a un autentico capolavoro, una summa di quel che sono le indiscutibili qualità di Steinbeck, capace di dare risalto agli umili per la loro limpidezza, con una serie di storie di natura completamente differente. Si va così dal piccino stregato Tularecito, un diverso (e qui l’autore americano è uno dei primi a porre l’accento su chi per nascita è meno fortunato di altri) alle sorelle ereditiere di una terra ingrata che sopravvivono cucinando tortillas per i contadini dei Pascoli, dalla bella donna Helen, al cui piacevole aspetto fisico si contrappone la tragedia familiare di un sangue corrotto, al giovane Jiunius, fuggito dal posto di impiegato in citta per trovare la serenità in questa valle magica, quasi da Giardino dell’Eden, in cui pur tuttavia, eterna condanna, il male nasce e si sviluppa. Sono piccole storie, di gente comune, ma di esseri pulsanti che reclamano una loro dignità e un posto ben preciso lungo la strada della vita, costituendo insieme lo specchio di un’umanità che brulica e s’affanna dall’alba al tramonto, dalla prima all’ultima stagione, dalla nascita fino alla morte. Di questi protagonisti inconsapevoli John Steinbeck è il cantastorie, che osserva con pudore e tenerezza, e comunque senza mai giudicare, la società americana dei pionieri, teatro di poche grandi fortune, di illusorie speranze e di tante piccole, insospettabili e ignote miserie. I Pascoli del cielo è qualche cosa di più di un bel libro da leggere, è uno specchio in cui immergersi per trovare un mondo perduto, un ritorno alle origini di cui l’uomo moderno non può più fare a meno. La mano dello scrittore ci conduce a ricalcare i passi di chi ci ha preceduto, un viaggio dentro di noi da cui non si vorrebbe più tornare. Leggetelo, immergetevi nelle sue atmosfere, e poi non potrete che convenire che si tratta di un capolavoro.
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