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In una lunga lettera alla figlia emigrata negli Stati Uniti, la Signora Curren, insegnante in pensione, racconta i suoi ultimi giorni di vita stroncata dalla malattia e la lenta agonia del suo paese, il Sudafrica, dilaniato dall’odio razziale. La Signora Curren assiste impotente al suo disfacimento fisico e al disfacimento morale e civile della sua patria dove la violenza e l’odio sembrano dominare ogni cosa. Il libro è molto duro nel condannare questa “età di ferro” dove i valori non trovano più spazio: non solo i giovani affermano con violenza i proprio diritti, ma addirittura la polizia che dovrebbe rappresentare l’ordine si esprime solo con la violenza. Ma la signora Cuirren è una donna tenace non solo nel lottare contro la malattia che la sta piegando, ma anche nella lotta contro la polizia violenta per cercare il giovane figlio della propria domestica di colore e anche per cercare di capire e comprendere dai “ribelli” i loro diritti e le loro rivendicazioni. Ve lo consiglio perché il libro riflette una particolare angolazione del problema razziale: il punto di vista di un’insegnante bianca che vede scomparire il suo paese proprio come il suo corpo si sta arrendendo alla malattia e che si pone di fronte al problema della propria responsabilità civile e morale di fronte alla violenza e all’odio che devastano il paese. L’ultima lettera alla figlia diventa quasi un testamento morale di chi comunque alla fine ha cercato di ribellarsi al sistema ed è affidata al Sig. Vercueil, l’ambiguo barbone che come una sorta di Virgilio accompagna la signora Curren nei suoi viaggi attraverso le rivolte razziali.
Un'anziana donna malata di cancro scrive una lunga lettera alla figlia lontana. Durante la stesura sarà toccata da vicino dagli avvenimenti storici che attraversano il Sudafrica durante il regime dell'apartheid. La lettera è un'occasione per riflettere su temi quali il senso della vita, gli affetti e la famiglia.
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