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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato
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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato - Marco Bentivogli - copertina
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Abbiamo rovinato l'Italia? Perché non si può fare a meno del sindacato

Descrizione


Il lavoro sta cambiando. I mutamenti della geografia del lavoro a livello mondiale e le trasformazioni del sistema produttivo che la quarta rivoluzione industriale porterà richiedono un sindacato in grado di cambiare e di avere "nostalgia del futuro". Svolgendo una critica sincera dei limiti del sindacato odierno, e rivendicando le scelte compiute dalla sua organizzazione nelle difficili vertenze affrontate nel corso della crisi, il segretario dei metalmeccanici della Cisl propone la propria idea di un sindacato come "luogo pubblico delle aspirazioni dei giovani" e di tutte le generazioni. Un luogo aperto, orientato alla partecipazione, pragmatico, lontano dagli estremismi, in grado di anticipare, grazie allo studio, a un impegno costante e a una visione del futuro, le evoluzioni della realtà. Il sindacato è un'esperienza di promozione del lavoro e delle persone che dà respiro alla democrazia, un sano contrappeso al potere politico ed economico.
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Dettagli

2016
23 giugno 2016
203 p., Brossura
9788869446245

Valutazioni e recensioni

Recensioni: 5/5

Un libro di cui si sentiva il bisogno. Sul sindacato, ma anche su cosa significa oggi rappresentare gli altri. In un momento storico in cui va di moda accentuare le differenze, gli scontri e le divisioni, Bentivogli descrive quanto invece sia utile stare insieme, fare rete, condividere esperienze e valori, in un progetto comune, in cui si ritorni ad essere persone, e non solo individui soli, assieme agli altri. Un libro per sindacalisti, ma anche per tutti quei cittadini attivi, impegnati a costruire un presente e un futuro positivo e di speranza.

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Recensioni: 5/5

Credo che il merito maggiore del libro sia un’esortazione a leggere i fenomeni economici sforzandosi di liberarsi dei pregiudizi e delle narrazioni di comodo che tranquillizzano la coscienza di tanti borghesi progressisti. Il cambiamento del paradigma tecnologico, organizzativo e dei rapporti di produzione ha imposto un ripensamento del ruolo del sindacato e delle modalità del suo intervento a difesa dei lavoratori. L’autore dimostra, con i dati di fatto, come alcuni sindacati si siano sforzati in quest’operazione critica, mentre altri si siano adagiati su vecchie certezze. I fatti (ad esempio la vicenda Fiat Chrysler), malgrado lo sguardo e il racconto spesso superficiali degli stessi media, stanno lì a dimostrare che solo se il sindacato, a qualsiasi livello, si mette continuamente in discussione, può svolgere al meglio la sua nobile missione nel ventunesimo secolo. Da qui lo sgretolamento di alcune “certezze”: non sempre “uniti si vince” (l’unità sindacale a volte, come nel rinnovo del contratto dei metalmeccanici del 1996, ha generato esiti insoddisfacenti), non sempre il progresso tecnico ha significato distruzione di posti di lavoro (nell’industria ha recentemente favorito il back reshoring degli stabilimenti esternalizzati). Un ampliamento delle dinamiche professionali e delle retribuzioni collegate è desiderabile nell’ambito di nuovi modelli organizzativi (come la World Class Manifaturing) in cui le gerarchie si riducono e che prevedono maggior coinvolgimento responsabilizzazione del lavoratore. E le richieste del sindacato in sede di rinnovo del contratto potrebbe orientarsi anche a favorire l’evoluzione dell’azienda verso una maggiore competitività (…): “Non possiamo ignorare i problemi, come se riguardassero esclusivamente qualcun altro e sollevarli solo quando la crisi è irreparabile”. Il messaggio, se si vuole, si può estendere anche a tutti coloro che, magari illudendosi di avere un minimo di consapevolezza e sensibilità sociale, cercano di agire coerentemente con i propri principi: i fatti vanno studiati e analizzati nella loro complessità e le categorie critiche vanno aggiornate a una realtà in continua evoluzione. Solo con questi prerequisiti si può tentare di essere cittadini consapevoli. Lo stile incisivo, a volte dirompente, rivela la passione dell’autore. Riportiamo un passo esemplare: “Il sindacalista reazionario, in preda a una deriva gastro-mediatica, si sente investito di una missione: fingendo di confondere il consenso con la schiuma gastrica della folla, fa fronte comune con chi ha coltivato la paura di tutto, del migrante, dei poveri, del cambiamento del futuro. Il sindacalista reazionario è quello mediaticamente più cool.”

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