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Mary e il gigante
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Mary e il gigante - Philip K. Dick - copertina
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Mary e il gigante

Descrizione


Cronaca di vita e d'amore ambientata in una cittadina della California degli anni Cinquanta, "Mary e il gigante" racconta la storia di Mary Anne Reynolds, una giovane donna dal carattere sensibile e intenso, e delle sue difficoltà affettive e relazionali. I suoi uomini, prima un cantante nero, poi il proprietario di un negozio di dischi più anziano di quarant'anni, accompagnano Mary lungo un itinerario di consapevolezza e disperazione che rivela in controluce un complesso panorama emotivo e culturale, quello di un decennio entrato nell'immaginario collettivo in modo anomalo e spesso falsato, e che oggi è al centro di una forte rilettura. Gli anni Cinquanta descritti da Dick sono un momento oscuro della Storia, segnato da una sorta di barbarie civile, in cui un senso diffuso di sgomento (è l'epoca dell'espansione del nucleare e della guerra fredda) si accompagna all'intolleranza verso il prossimo, alla diffidenza e all'incomprensione. Introduzione di Carlo Pagetti. Postfazione di Tommaso Pincio.
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Dettagli

2016
288 p., Brossura
Mary and the giant
9788834732243
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Indice


Le prime frasi del romanzo:

Alla destra dell'auto in corsa, oltre il ciglio dell'autostrada, sostava un gruppo di vacche. Poco più in là ce n'erano altre, sagome marroni mezze nascoste dall'ombra di un granaio. A lato del granaio si scorgeva vagamente una vecchia insegna della Coca-Cola.
Joseph Schilling, seduto sul retro, infilò la mano nel taschino e tirò fuori il suo orologio d'oro. Con un movimento esperto dell'unghia lo aprì e guardò l'ora. Erano le due e quaranta del pomeriggio, di un caldo pomeriggio californiano di piena estate.
"Quanto manca ancora?" domandò con un moto d'insofferenza. Non ne poteva più di stare in macchina e di quello scorrere di terreni coltivati fuori dei finestrini.
Piegato sul volante, Max grugnì senza girare la testa. "Dieci minuti, forse quindici."
"Sai di che sto parlando?"
"Di quella città che hai segnato sulla mappa. È a dieci o quindici minuti da qui. Ho visto un cartello più indietro. All'ultimo ponte."
Comparvero altre vacche, e con loro altri aridi campi. Nel corso delle ultime ore la lontana foschia delle montagne era gradualmente scesa a valle. Dovunque volgesse lo sguardo, Joseph Schilling vedeva la foschia distendersi monotona, oscurando le colline arse dal sole, i pascoli, i frutteti di varie specie, le costruzioni dipinte di bianco delle fattorie. E, a breve distanza, le avvisaglie di un centro abitato: due tabelloni pubblicitari e una bancarella di uova fresche. Il profilarsi della città lo mise di buon umore.
"Non ci siamo mai passati da queste parti, vero?"
"Il posto più vicino in cui siamo arrivati è Los Gatos. È stato nel '49, ti eri preso una vacanza."
"Non si può fare niente più di una volta" disse Schilling. "Le cose si rinnovano sempre. Come diceva Eraclito, non è mai lo stesso fiume."
"A me sembra tutto uguale. Solo campi e fattorie" Max indicò un gregge ammassato sotto una quercia. "Ancora pecore... è tutto il giorno che vediamo pecore."
Dalla tasca interna della giacca Schilling tirò fuori un quaderno rivestito in pelle, una penna stilografica e una mappa ripiegata della California. Era un uomo grosso che aveva passato da un bel po' la cinquantina. Le mani che stringevano la mappa erano gialle e massicce, la pelle ruvida, le dita nodose, le unghie spesse al limite dell'opacità. Portava una giacca di tweed con gilet e cravatta scura di lana; le scarpe in pelle nera erano di fattura inglese e il viaggio le aveva sporcate di polvere.
"Sì, ci fermeremo" decise, mettendo via quaderno e penna. "Voglio passare un'ora a dare un'occhiata in giro. C'è sempre la possibilità che sia il posto adatto. Che te ne pare?"
"Perfetto."
"Com'è che si chiama la città?"
"Paso Buco."
Schilling sorrise. "Non fare il buffone."
"Hai la mappa, guarda." Con un tono acido, Max ammise: "Pacific Park. Nel cuore della ricca California. Solo due giorni di pioggia all'anno. Vi cresce una specie particolare di calendula."
La città vera e propria andò delineandosi su entrambi i lati dell'autostrada. Bancarelle di frutta, una pompa di benzina della Standard, un'isolata drogheria con delle auto parcheggiate nello sporco spiazzo di terra adiacente al negozio. Dall'autostrada partivano strade strette e dissestate. Mentre la Dodge rallentava accostandosi sulla prima corsia, si intravidero anche delle case.
"E questa la chiamano città" disse Max. Fece scendere di giri il motore e sterzò a destra. "Qui? Laggiù? Deciditi."
"Verso la zona commerciale."
La zona commerciale era divisa in due. Una parte, orientata verso l'autostrada e il traffico di passaggio, sembrava costituita essenzialmente da drive-in, stazioni di servizio e locali per automobilisti. La seconda parte era il cuore della città; fu lì che si diresse la Dodge. Il braccio poggiato sul finestrino aperto, lo sguardo attento e assorto, Joseph Schilling osservava il paesaggio. Si sentiva appagato dalla presenza di gente e negozi e dall'aver temporaneamente lasciato l'aperta campagna.

Conosci l'autore

Philip K. Dick

1928, Chicago

Scrittore prolifico e sregolato, di fama crescente, Dick ha raggiunto a tratti una grande intensità stilistica ed è considerato uno dei più importanti scrittori postmoderni, tra i classici della letteratura contemporanea. Fra i suoi romanzi di fantascienza, caratterizzati da un cupo pessimismo, si ricordano: La svastica sul sole (The man in the high castle, 1962), I simulacri (The simulacra, 1964), Le tre stigmate di Palmer Eldritch (The three stigmata of Palmer Eldritch, 1964), Ubik, mio signore (Ubik, 1969). Da Gli androidi sognano pecore elettriche? (1968) è stato tratto il film Blade Runner, che ne ha fatto uno scrittore di culto.

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