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Anno edizione: 2011
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"Non so bene cos'era: anche poco prima, al buio e su un vespino mezzo scassato, Biagio si buttava nelle curve come un pesce nel mare e pareva quasi che non fosse la Vespa a muoversi, ma la strada. Sembrava di essere fermi su un piedistallo e piegare semplicemente la Vespa su un fianco e sull'altro, quasi a ritmo di musica, mentre sotto alle ruote un nastro di asfalto scorreva e si spostava". Allo stesso modo Pietro Grossi stende lungo le pagine di "Incanto" la storia di tre amici - Jacopo (voce narrante) Greg e Biagio - dall'infanzia all'età adulta. Semplicemente. Delicato e veloce. Cercando una lingua originale, senza complicazioni. Precedendo di un passo lo svelarsi dei sentimenti che accomunano. Inseguendo l'incanto, l'ondivago movimento sentimentale dello stupore e della formazione. Poi Grossi cede di fronte alle domande senza risposta, quelle che sono tanto poco utili alla vita da spingerci a chiederci quanto sia utile quello che abbiamo fatto, che facciamo. Quelle che non sono nostre ma del mondo quando ci sopraffà. E' vero, la vita è anche questo, ma non è detto che la letteratura debba comprenderla e metterla in scena tutta. L'originalità è più importante e Grossi la perde un poco, lascia persino intravvedere il ricorso all'artificio della macchina esterna, che spiega e dà senso ai fatti, ma subito se ne allontana, forse lui stesso lo rifiuta perchè non gli appartiene. Forse la sua scrittura, il suo spirito non sono nati per affrontare i lati oscuri. Forse l'incanto può essere protratto oltre la giovinezza e fino alla vecchiaia. Dicono che affrontare e superare le difficoltà sia indispensabile, che senza non si cresce, ma la sensazione che per andare oltre si debba rinuciare a una parte di sè, alla propria unicità è altrettanto vera. Forse vale la pena non cedere e provare a raccontarla, la prossima volta. Forse tutti abbiamo bisogno di credere a un incanto lungo una vita. Può essere la sfida più grande, provaci Pietro.
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