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Memorie dal Bagaglino. Diario intimo di un cabaret - Pier Francesco Pingitore - copertina
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2020
10 settembre 2020
175 p., ill. , Brossura
9788885515925

Valutazioni e recensioni

GIOVANNI LANDI
Recensioni: 0/5

Se c’è una persona, nel panorama del nostro spettacolo, che può presentare una raccolta di memorie senza chiedere permesso, questa è Pier Francesco Pingitore. Fra scaffali sempre più frequentati da cuochi-santoni, conduttrici romanziere e biografie istantanee, libri che raccontano storie neanche cominciate, un resoconto sul percorso pluridecennale della più celebre e longeva compagnia teatrale italiana era ormai quasi doveroso, e il fatto che sia arrivato solo adesso, quando le luci del varietà si sono spente, assegna alle pagine il senso definitivo del bilancio, ma senza piangere. Del resto, come si suol dire, i conti si fanno alla fine. Era novembre, quel 1965, quando in un’umida cantina di vicolo della Campanella, traversa di via Panìco, un gruppo di amici volle squarciare il silenzio della monotonia cominciando a riverniciare sedie e tavolini. Avevano in mente di fondare un nuovo cabaret, un cabaret anarchico, o meglio ‘anarchico di destra’, come il regista sottolinea con difficile ossimoro per dire che erano sì di destra, ma senza padroni. Da lì un percorso tutto in ascesa, che passa per il trasferimento al Salone Margherita di via due Macelli fino all’approdo in televisione. Di questo lungo viaggio Pingitore, per il quale qualsiasi definizione di ‘patron’ o ‘anima della compagnia’ sarebbe superflua, racconta retroscena, aneddoti, verità. Come quando affittano una barca e danno spettacolo in giro per i porti, o devono rispondere picche all’arrivo della vedova Kennedy (“non c’è neanche un posto”). Il Bagaglino comincia a far parlare di sé in maniera sempre più prepotente, mentre Pingitore scrive canzoni (Budapest, il mercenario di Lucera) rimaste simboliche nella cultura di destra. Il pubblico cresce (nel ’72 l’approdo al Salone) e la compagnia abbandona l’egemonia della destra romana diventando di tutti. I primi anni in tv sono ancora dominati da Gabriella Ferri, che nei ricordi di Ninni emerge come un’algida e struggente chimera (‘Lei’), davvero forse la regina triste e senza tempo di questa lunga storia. Ma col tempo anche gli attori aumentano: gli spettacoli diventano maestosi, colorati, contornati da musica e danza. Allo storico Lionello si aggiungono via via Leo Gullotta, Mattioli, Martuffelo, Dovì, Frisi, Zamma, Battaglia & Miseferi. Chi fa teatro sa che gli attori si dividono prima di tutto in base alla puntualità alle prove, e infatti questa è una delle fisse assolute del regista, che racconta i caratteri e i capricci di artisti e primedonne con tono sornione ma bonario, come un grande padre che si destreggia in una grande famiglia. I litigi della Marini e della Prati, l’incapacità dei sosia (“l’unica trovata possibile fu quella azzeccata: farli tacere”), le manie dei truccatori, e persino una dentatura nuova pagata al sosia di Berlusconi Maurizio Antonini (“non poteva parlare, ma sorridere doveva”). E poi l’immagine del maestro Lionello che dorme in camerino senza imparare il copione, e il rito della compagnia che puntualmente deve sedersi intorno agli autori ad ascoltare i testi, scritti in pochissimi giorni con uno sforzo davvero poco riconosciuto: uno spettacolo teatrale-televisivo con un copione sempre diverso. Non mancano poi i ricordi sulle dispute coi dirigenti televisivi della rai e l’idillio con Berlusconi, che infine riuscì ad accaparrarsi il clan dopo il grandissimo successo di Bucce di Banana. Pingitore racconta di quando il Cavaliere una volta gli chiese: “Ma tu scrivi gli spettacoli, scegli gli attori, le primedonne, le ballerine e fai la regia?” “Certo”. “Ah, proprio quello che avrei voluto fare io!”. (Diciamo che in altri tempi al geniale regista non sarebbe sfuggita la battuta “ma Presidente, è proprio quello che fa!”). Fatto sta che negli anni ’90 il Bagaglino diviene quasi una mania, una trasmissione dal successo enorme che spinge spesso ad aumentare le puntate o a creare edizioni speciali. Sosia da tutta Italia agognano uno sguardo del Regista, sperando in una comparsa nell’allegra e festante brigata, sommersa dagli ascolti come dalle critiche, le critiche di un’Italia che non ha mai accettato (talvolta, sicuramente, anche a ragione), l’eccessiva bonarietà di quel tipo di satira e la connivenza berlusconiana dell’ultimo periodo. Ma il pubblico, come si dice, è sovrano. La signora Leonida diviene un’icona, Pippo Franco un conduttore composto e rassicurante, le primedonne sono sempre all’altezza. Gli spettacoli si fanno guardare con piacere, scorrono veloci nell’attesa dell’entrata in scena dell’ennesima parodia, del nuovo personaggio. Basta nominare la Carrà, Andreotti, Clinton, D’Alema, Scalfaro, e questi compaiono, puntuali e uguali. Le musiche di Pintucci e Gribanovski sono da belle epoque, come il teatro. Il tutto ha davvero il sapore di un’epopea televisiva che non tornerà. Negli anni 2000 gli show continuano, così come il successo. Edizioni come Mi consenta e Barbecue sono veramente ben fatte, anche se le atmosfere di Rose Rosse o Champagne si allontanano anno dopo anno. La crisi degli ascolti inizia con Gabbia di Matti e collassa nel 2009 con Bellissima, l’ultimo (molto scadente, a parte la sigla) varietà televisivo: troppe primedonne e poco cabaret. Non c’è Lionello, scomparso proprio quell’anno, non c’è Gullotta, impegnato altrove. “Senza Lionello il Bagaglino finirà”, aveva detto Pingitore il giorno della scomparsa del maestro. Ha provato a resistere per altre due stagioni, e poi è finito davvero. Non solo per Lionello, certo. Doveva andare così: le idee scarseggiavano, il Bagaglino aveva dato tutto, stava diventando un vecchio ritornello. Anche di questo Pingitore parla, senza nascondere l’amarezza ma senza sentirsi vinto. Insomma, il testo è succoso, spesso sorprendente, sicuramente sincero. Ma soprattutto utile. Utile per restituire dignità e identità a una vicende troppo spesso e frettolosamente derubricata a vetrina ossequiosa del berlusconismo, dove bagaglino diviene mesto sinonimo del farsesco e del volgare, emblema ghiottone della Roma ‘Cafonal’ di D’Agostino. E invece il Bagaglino è stato il palco di Gabriella Ferri, di quella superba “Sempre” scritta proprio da Castellacci. E’ stato il palco di Pino Caruso, Montesano, D’Angelo, Lionello, Gullotta. Un palco che ha fatto scuola, non solo per l’originalità delle sue trovate e dei suoi ritmi, o per la maestria dei suoi interpreti migliori, ma per aver dimostrato come l’amore per una storia possa unire così tante persone per così tanti anni, spingere attori ormai lanciati in tutti i campi a non ignorare mai l’appello del rispettato regista, per ritrovare i vecchi amici e il vecchio camerino. Il Bagaglino ha unito le famiglie (di qualsiasi schieramento!) intorno a una risata, ha rallegrato innumerevoli serate e dato il successo a moltissimi artisti. Comunque lo si interpreti, è stato un pezzo di storia italiana. E di teatro. A Pier Francesco Pingitore, gran signore e professionista indomito, tutto questo va riconosciuto. “Memorie dal Bagaglino, diario intimo di un cabaret” (ed. Mursia), inizia e si conclude (è la tipica e sempre toccante ring composition, 'costruzione ad anello') fra le strade più autentiche e popolari della Roma di una volta. Scorrono le macchine, le voci, i pensieri. Scorre il tempo e dimentica il passato, e coi bilanci alla mano metta all’asta (di nuovo) Il Salone Margherita. Per il Bagaglino non c’è più spazio. Il pubblico se n’è andato, il sipario si è chiuso. Ma il sipario resta aperto, sulla copertina del libro di Pingitore. E’ aperto su una foto dei tempi migliori, una schiera di ballerine sulle scale, comici e sosia in linea per i saluti, Pippo Franco con la cartellina, la Signora Leonida, gli applausi. Perché quel sipario non chiuderà mai: sono i nostri ricordi sul glorioso Bagaglino. Giovanni Landi

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