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Anno edizione: 2001
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Anno edizione: 2018
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Con Il bell’Antonio Vitaliano Brancati affronta una tematica tanto cara agli italiani e maggiormente apprezzata nel mezzogiorno d’Italia, perché, a voler essere del tutto sinceri, in ogni maschio si cela, frenato, oppure solo vagheggiato, l’istinto del galletto, con alcuni che poi diventano autentici sciupafemmine e delle continua prova della loro virilità fanno l’unico scopo di un’esistenza dietro la quale c’è quasi sempre il vuoto. Il protagonista, Antonio Magnano, è un giovane di una bellezza straordinaria che entra nei sogni di tutte le donne che lo incontrano e anche di non pochi uomini. Gli si attribuiscono conquiste in serie, si vagheggiano rapporti di alcova in cui il kamasutra potrebbe essere il breviario di questo sacerdote dell’amore. Un grande seduttore, quindi, quel che si dice un tombeur des femmes e che a un certo punto finisce oggetto di un matrimonio architettato dal padre che nel voler sistemare bene il figlio con la ricca e bella ereditiera Barbara spera così anche di avere un’eventuale valvola di salvezza nel caso che un grosso investimento non vada a buon fine. Ebbene si celebrano le nozze, tutte le donne di Catania (la storia si svolge nella città siciliana durante il ventennio) invidiano la sposa e tutto andrebbe bene, se non fosse che dopo un po’ di tempo la sposina si accorge di qualcosa che non funziona, che quel marito, peraltro assai affettuoso, non consuma il matrimonio e quindi apriti cielo, anche perché si deve procedere all’annullamento del sacramento da parte della Sacra Rota, affinché lei possa sposare il ricchissimo duca di Bronte. Anche se non si volesse dare scandalo, anche se si volesse tacere l’impotenza di Antonio, l’annullamento del matrimonio e le conseguenti nozze non possono che diventare di dominio pubblico, e così in un Italia in cui la virilità era da considerarsi il miglior biglietto da visita, e al tempo stesso il minimo requisito, per essere un perfetto fascista, il bell’Antonio precipita dal trono nella polvere. Sulla base di ciò che ho scritto verrebbe da pensare che lazzi e allusioni erotiche dovrebbero essere ben spalmate nell’opera, ma se è pur vero che c’è un certo sipirito goliardico, una certa verve tipicamente sicula, non potrei parlare di comicità, perché il romanzo è invece intriso di grottesco, imperniato come è sul dramma personale di Antonio Magnano, che si trincera in un non voler comprendere la sua condizione e che finirà poi per confessare questa sua disgrazia allo zio Ermenegildo, l’unico che sembra in grado di capirlo. C’è invece una comicità indiretta, e che è una vera e propria satira, nelle diatribe in casa Magnano e nel fraseggio, sovente in dialetto, dei cittadini catanesi, che sembrano trovare quasi un sollievo nell’apprendere che il giovane Magnano non era lo sciupafemmine di cui si vagheggiava e che in fondo si invidiava. La gente non comprende la tragedia di un uomo che si sente meno uomo, quelli che prima lo adulavano ora lo prendono quasi in giro, insomma c’è una emarginazione che finisce con il minare l’equilibrio psichico di un individuo che poco a poco si convince che per lui la vita non ha più senso. Il romanzo mi è piaciuto, è ben scritto, graffia il giusto senza eccessi, insomma è senz’altro da leggere.
Brancati l'ho sempre ammirato nel ruolo di sceneggiatore per i grandi registi italiani con il quale ha lavorato, ma come romanziere mi mancava. Percorso inverso dunque, il mio, che anche in questo caso mi ha portato al libro passando prima per la pellicola di Bolognini (con Mastroianni e la Cardinale), film che mi aveva lasciato punti in sospeso sul comportamento del protagonista. Ora, terminato il libro e contestualizzato anche il periodo storico (assente nel film) nel quale Antonio si muove, mi è ancora più chiaro il senso di impotenza che lo investe, metafora di quel malessere esistenziale che colpisce l'uomo libero di pensiero che non intende assoggettarsi alla massificazione ideologica di regime, di quel regime vomitevole. L'utilizzo della satira da parte di Brancati rende divertenti, se non grottesche, alcune situazioni in grado di strappare più di un sorriso; altre volte, invece, l'autore vela la narrazione di pessimismo incupendo il romanzo.
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