La ricchezza è la parola chiave di questa storia. Una ricchezza costruita sulle relazioni, sull’accoglienza, sulla capacità di aiuto e di sostegno tra chi si trova in difficoltà, la tranquillità di sapere che di fronte a qualsiasi evento ci sono dei punti fermi che ci danno luce come un faro. L’autore dirà: “Cosa importa… pensai invece io, siamo tutti qui uniti, sani e salvi. Al diavolo le macchine, i tappeti, le porcellane, i quadri, se li tenessero pure!” pag. 69. Ho letto il libro in tre giorni, quasi senza respiro, lo chiudevo ma il mio pensiero era tornare in quelle pagine, in quella storia che era diventata la mia storia e quando finalmente ho chiuso il testo ho pensato “bello”. Perché? Cosa mi ha colpito? Perché quei personaggi sono entrati nel mio mondo? Perché io sono entrate in quel mondo? A volte mi capita di leggere dei libri pagina per pagina con estrema fatica e non vedo l’ora che finisca; per altri non è così. Cosa mi è piaciuto? la semplicità del linguaggio, le descrizioni di fatti e avvenimenti che senza entrare dettagliatamente nei particolari mi davano una cornice generale dove poter spaziare con la mia mente e forse per questa ragione è diventato il mio libro, la mia storia. La storia si sviluppa dal 1943 al 1952 in Italia. Parte da Roma dove la guerra costringe la famiglia padre, madre e quattro figli (Sergio, Raffaele, detto Nello, Adalberto, il protagonista della storia, e Franco) a fuggire; prima tappa Fonatanfredda in Friuli dai nonni materni; il viaggio prosegue fino a Cortina d’Ampezzo per ripercorrere lo stesso viaggio al ritorno con la nuova tappa per Montone in Umbria. Sullo sfondo una guerra vista e descritta da più angolazioni dove nonostante tutto il piccolo “Mangereta” trascorre un’infanzia tranquilla. Supportato da adulti capaci di assumere le proprie responsabilità, che comunque e dovunque sono un punto di riferimento per i quattro ragazzi che crescendo si guardano attorno; il cui metodo educativo è semplice ma diretto e con obiettivi ben precisi e spesso unico sistema pedagogico è uno scappellotto, che non lascia dubbi sul messaggio educativo. Un messaggio che consente di crescere con senso di responsabilità e con la consapevolezza che i problemi non si risolvono accusando gli altri ma con la capacità di concepire strategie alternative per la soluzione degli stessi. Anche gli allontanamenti dai genitori vengono vissuti con tranquillità senza sentimenti di abbandono, ma come esperienze che aiutano a crescere, avere nuove avventure, nuove relazioni e con la tranquillità che presto i genitori sarebbero tornati; allontanamenti che lasciando ricordi e affetti, che arricchiscono la personalità dell’autore, che racconta di questi episodi come parentesi piacevoli della propria esistenza. Cortina resta magica nella descrizione del libro, sebbene vissuta durante la guerra e nella sua quotidianità, quando la comunità si riunisce intorno ad un pianoforte e ad un violino per trascorrere le sere invernali. Tutti paesani e non, vivono in un clima di supporto, di aiuto, tanto che diventa eroica la figura del medico che parte per la Svizzera, su “impervie strade di montagna” con una Moto Guzzi, pur di procurarsi la medicina giusta per curare il povero malato cui era già stata data l’estrema unzione. La guerra è vista da più punti di vista; il povero gendarme che sogna di tornare a casa dai figli e dalla moglie; i civili che seguono notizie e bombardamenti e che si prodigano nella cura dei malati; la guerra che mette in rilievo i grandi uomini e quelli che non valgono niente ma vogliono solo approfittare di persone e situazioni. Non c’è colore, non c’è fazione e anzi a volte le vere azioni buone sono compiute da chi viene immaginato dal collettivo negativamente. Il gendarme austriaco, i partigiani, gli americani, i marocchini sono un crogiuolo di umanità e la paura, il bisogno, il pericolo evidenziano le caratteristiche umane al di là di ogni nazionalità. La delicatezza, l’arroganza, la rabbia, la crudeltà sono l’elemento distintivo che differenzia i vari personaggi. Interessante è anche il rapporto con gli animali portatori di benefici, con i quali instaurare un rapporto naturale di affetto, di vantaggio e di cura senza enfatizzare aspetti inesistenti. Finita la guerra si fanno i conti con i nuovi padroni che a volte sono più prepotenti ed arroganti dei vecchi ma la famiglia Merli ha obiettivi precisi, torna a Roma. La ricostruzione non è facile la casa occupata da una nuova famiglia cosa accadrà sarà possibile la convivenza con i nuovi soggetti? O sarà meglio convivere con altri parenti pur sapendo che l’ospite dopo tre giorni puzza? Intanto la vita riprende a Roma con storie di nuovi giochi e nuove esperienze non esclusa quella sessuale che ancora una volta viene descritta con toni pacati e riservati lasciando al lettore la delicatezza di entrarvi. I giochi descritti fanno sorridere e tornare alla mente situazioni in cui il confronto, l’amicizia sono elementi di ricerca ma soprattutto soluzioni per affrontare problematiche che il singolo non può risolvere da solo; il gioco diventa anche momento di espansione della creatività quando Nello diventa cantastorie e racconta di principi e principesse. Non vengono risparmiati i giochi pericolosi, realizzati di nascosto dagli adulti o quelli che producono danni e che portano come risultato, nonostante l’alibi accuratamente costruito dai piccoli monelli, ad un sonoro pagliatone. Gli adulti ci sono attenti e guardinghi, pronti ad intervenire a volte in modo rude ma sempre con l’obiettivo di indicare la strada giusta. Non sono poche le scene descritte che stimolano ilarità nel lettore soprattutto nelle ultime pagine come i due fratellini vestiti per entrare in una rivista di moda e che invece dovevano affrontare coetanei pronti a sbeffeggiare e ridicolizzare; o il povero prete con chierichetto costretto a darsela gambe; o ancora la prima comunione vissuta quasi come tragedia. Il libro è bello e va letto seguendo la crescita del piccolo “Mangereta” che all’improvviso scopre che è il momento di cambiare pagina, è il momento di crescere e il messaggio gli viene comunicato da quella piccola formica che nonostante tante difficoltà compie il suo dovere recando quella pesante briciola di pane nella sua piccola tana. Manila, 25 Aprile 2019 Roberta POSITANO
Mangereta
Mangereta è il soprannome dato al piccolo Berto dalla nonna friulana, vuol dire “mangia sempre, affamato”, perché Berto ha appunto una fame irrefrenabile, non solo di cibo, ma di gioco, di fantasia, di risate: gli servono per far fronte alla durezza della guerra, sul cui sfondo trascorre la sua infanzia. Di Mangereta – alter ego dell’autore Adalberto Maria Merli – e della sua famiglia, seguiamo infatti le vicissitudini che dalla seconda guerra mondiale ci portano fino al periodo della ricostruzione, dal 1943 al 1952. Fuggiti da una capitale segnata dal conflitto, arrivano in Friuli, a Fontanafredda, e fino sulle Dolomiti, a Cortina d’Ampezzo, per fare nuovamente ritorno a Roma, a guerra finita. Un percorso fatto di incontri, avvenimenti, scoperte, esperienze tragiche o comiche, eroi anonimi e generosi. Al suo ritorno a Trastevere, nel dopoguerra, in un quartiere immerso nella povertà e nel disagio ma anche vivace e acceso di speranze, tra conversazioni strillate da finestra a finestra, al mercato, nelle trattorie, in parrocchia, per la strada, Mangereta scoprirà i suoi primi interessi, i suoi sogni, le sue prime domande, e le sue prossime responsabilità, di giovane e adulto.
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Lingua:Italiano
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