Ci sono molti ponti e molti diavoli in questa raccolta di canzoni. La musica tradizionale è per noi un ponte che unisce luoghi e volti lontani nello spazio e nel tempo, e che si propone essa stessa come luogo da percorrere e ripercorrere in diverse direzioni. Quanto al diavolo, esso è stato spesso associato, fin dal primo Medioevo, ai musicisti errabondi, portatori secondo la cultura ufficiale di saperi e tecniche pericolosamente legati al diverso, all’altrove, al mondo sommerso e oscuro dei marginali...Ma anche tanti nomi di luoghi, di piante, di animali, così come tante leggende, utilizzano il diavolo come personaggio significativo di un passato ancestrale che ormai si fatica a comprendere: così come i santi si sostituiscono ai signori degli animali e agli eroi fatati positivi e luminosi, allo stesso modo, nella cultura tradizionale, il diavolo è erede di creature preistoriche telluriche e misteriose. E queste diventano, a loro volta, i “poveri diavoli” di cui raccontano alcune di queste canzoni. Il ponte e il diavolo sono poi uniti inscindibilmente, tra folklore, geologia e storia, nella conformazione d’arenaria dell’alto Appennino modenese che prende il nome di Ponte del diavolo, raffigurata sulla copertina di questo disco. A parte i primi due brani, incisi per l’occasione e per esprimere lo sdegno per questi cento anni di guerra in atto (dietro la finta ricorrenza del centenario 1914-2014 c’è in realtà una ininterrotta continuità secolare), questo disco è un’antologia di nostri precedenti lavori, intesa come traccia di sedici anni di ricerca musicale e poetica nei luoghi appenninici e nei luoghi che dell’Appennino parlano da lontano. Ci sono canzoni in italiano e in dialetto, e canzoni in lingua gallese, brani tradizionali e brani di nuova composizione, canti sacri e canti della tradizione anarchica. Ci sono arpe popolari e flauti, ghironde e pive, ma anche bassi elettrici, percussioni e sintetizzatori. Ponte del diavolo è il nostro modo, uno dei nostri modi, di cantare e respirare l’Appennino, di intersecare ricordi e visioni. È una mappa visibile e in divenire di un modo acentrico, mai concluso, mai statico e mai appagato di concepire e possibilmente vivere la terra che ci porta. Il fischio del vapore e Fuoco e mitragliatrici sono due tra i più noti canti tradizionali contro la guerra. Al primo abbiamo aggiunto alcune strofe di una ballata irlandese raccolta in Australia negli anni ’40 tra gli emigranti delle comunità irlandesi, nella quale una fata, col sembiante di una venditrice di scope di erica, porta con sé in un altrove incantato il protagonista della canzone: un modo per dare un destino diverso alla donna che lamenta la partenza dell’amato per la guerra e la conseguente perdita dell’amore. Alla stessa idea di contrapposizione alle guerre e al potere autoritario si richiamano anche Il disertore e Quartine e interrogatorio di Sante Caserio. Altri brani descrivono in vario modo aspetti del paesaggio appenninico, tra visioni notturne, esplorazioni autunnali, immagini sospese e sogni d’arenaria. Alcuni raccontano la vita sulle montagne.
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