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Anno edizione: 2019
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Ci sono storie che meritano di essere solo ascoltate, altre di essere ricordate. La Storia di Neve rimane impressa nel cuore, come un tatuaggio di emozioni che si crea in ogni parola. Forse il miglior lavoro di Mauro Corona, capace di dipingere il proprio mondo attraverso gli occhi dei protagonisti, in equilibrio sempre teso tra immagini forti, crude, spesso spietate, e una dolcezza capace di far piangere. Perché proprio in questo dipinto di passioni, Corona porta i suoi lettori ad immedesimarsi nelle scene, e le situazioni, i paesaggi, le persone appaiono davanti agli occhi come fossero reali. Un libro che fa venir voglia di andare sui monti, un libro che fa venire la paura, dei monti. Quanto sia una favola, quanto un racconto, quanto una cronaca, è difficile poterlo dire, perché la fusione delle tante anime di Corona, qui, è totale. Perché la forza della montagna, la sua legge spietata, ma anche il suo codice d’onore, rimane incisa anche nelle persone che la vivono. O che muoiono.
Raramente mi è capitato di leggere un romanzo così lungo (817 pagine), eppure così intenso. Vi è assicuro che è un’esperienza altamente coinvolgente, al punto tale che come si inizia la lettura si desidererebbe andare sempre avanti, senza mai fermarsi, per giungere alla fine. Va da sé che invece sono necessarie delle interruzioni, anche per riflettere e spunti e motivi ce ne sono in abbondanza. Il teatro della rappresentazione è come al solito Erto, il paese natio, ma la vicenda, questa storia di Neve Corona Menin, l’unica bimba nata nel gelido inverno del 1919, è qualche cosa di straordinario, come del resto lo è la protagonista. Sospeso fra realtà e fantasia, con escursioni anche nel campo dell’horror, il romanzo ha una forza travolgente, grazie a un testo vitale e particolarmente suggestivo. Neve è la parte buona della strega Melissa, tornata nel mondo per porre rimedio ai torti commessi in vita, una specie di santa in grado di miracolare, come in effetti ogni tanto fa, ma vittima della cupidigia del padre teso ad arricchirsi grazie alle straordinarie qualità della figlia, in un egoismo cieco e sordo, che porterà a una serie di disgrazie e di delitti di raccapricciante efferatezza. Il contrasto fra l’essenza spirituale della fanciulla e la bestialità materiale del genitore riesce a dare all’opera quella continuità logica che è indispensabile per sostenere l’impatto con una storia particolarmente lunga. In questo contesto si inserisce la vita del paese, la coralità dei suoi abitanti nei riti annuali della primavera e dell’autunno, nella fienagione e nel taglio delle piante, nelle sere trascorse all’osteria, un microcosmo reale, pulsante di umori, anche primitivo, talvolta violento e chiuso, oltre che omertoso. I caratteri dei personaggi, le descrizioni delle stagioni, le pagine dedicate ai rigidi e nevosi inverni sono tutti elementi che nobilitano questo romanzo. Pur se la vicenda di fantasia è preminente, si rimane stupiti di fronte alla soavità, quasi poetica, che l’autore dedica a immagini della natura, con albe, tramonti, i vortici del fiume Vajont, le cime, i boschi, una sorta di concerto che accompagna tutta l’opera. Nell’insieme Corona è riuscito a mantenere in adeguato equilibrio la violenza e la bontà, l’orrore e la nobiltà dei sentimenti, un gioco difficile e anche pericoloso condotto tuttavia con mano sicura dalla prima all’ultima pagina. Chiuso il libro ci si sente come frastornati dalla forza della macchina narrativa, ma è solo un momento, perché ci si accorgerà ben presto che questa splendida storia lascia dentro un senso di grande serenità e di Neve serberemo il ricordo come della parte migliore di ognuno di noi, quella platonica ingenuità infantile non condizionata dalla realtà e di grande aiuto per superare gli scogli della vita, pur se rifugiandosi solo in un sogno. Storia di Neve è un libro magico.
Leggere questo libro è stata un’esperienza che non vorrei ripetere, e vorrei precisare che non l’ho letto tutto ma solo metà. Sono arrivata a metà e lì ho preso la mia decisione: adesso basta! L’ho chiuso ,l’ho riposto nella libreria e mi sono chiesta come avevo fatto a leggerne ben 400 pagine. Avevo sentito parlare di Mauro Corona come di un grande poeta della natura e non mi aspettavo assolutamente di trovare in un suo libro una storia costituita da una lunga sequela di violenze di ogni tipo. Il mondo descritto da Corona è una società di barbari dediti ad ogni bassezza. Nessuna meschinità li turba, nessun delitto li sconvolge, nessuna violenza, nemmeno la più efferata, scalfisce il loro cinismo e la loro avidità. Io non sono certo una persona convinta della naturale bontà dell’Essere Umano ma mi stupisce che l’autore voglia far passare la ferocia della comunità sub-umana che lui descrive come la normale vita quotidiana della società rurale di un tempo. Beninteso, quando Corona parla della natura è un narratore eccezionale, intriso di una poesia sconfinata. Ma i pochi momenti poetici non bastano a controbilanciare pagine e pagine di stupri, omicidi e violenze tra le più sanguinarie e inenarrabili. Tutta questa profusione di gente impalata, bruciata viva, divorata dai lupi o, peggio, dai topi mi fa pensare ad una scelta di tipo commerciale da parte dell’autore. Horror , sesso e violenza sono cose che oggi vanno molto di moda. Inoltre quando penso a questo libro c’è una sensazione che non mi abbandona mai: quella di essere stata ingannata. Credo che se una persona decide di leggere una simile accozzaglia di violenze lo deve fare consapevolmente non sulla base di recensioni, come quelle che ho letto io, scritte da giornalisti di grande reputazione dove si decanta la statura intellettuale dell’autore e i profondi significati di ciò che scrive ma ci si guarda bene dall’accennare alle efferatezze di cui è costellato il romanzo. Questo è l’inganno.
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