La coppia d’assi hollywoodiana Ridley Scott – Russell Crowe torna insieme per la quinta volta, e dopo il blockbuster del 2000 Il gladiatore, divenuto cult per un paio di generazioni di spettatori, riprova a fare centro portando sul grande schermo un eroe della tradizione anglosassone, Robin Hood. Il film è un kolossal, la produzione sontuosa e le scene mastodontiche oltre che curate nei particolari come è consuetudine per il regista. Il personaggio è stato raccontato numerose volte dal cinema anche se, a mio parere, mai in pellicole memorabili e forse l’idea di partenza di quest’ultima trasposizione era essenziale per improntare da subito la differenza con i film del passato: per la prima volta vediamo il protagonista come arciere di Riccardo Cuor di Leone, di ritorno dalla terza crociata; un semplice soldato del Re che alla morte di sua maestà finge di essere uno dei suoi cavalieri in realtà deceduto in un’imboscata, Robert Loxley, per poter tornare a casa. Al ritorno trova un paese in bancarotta, in balia di traditori che cercano di beffare il nuovo Re Giovanni mettendogli contro buona parte dei suoi sudditi mentre dal sud stanno arrivando i francesi che vogliono occupare l’Inghilterra. Robin continua a fingersi Robert Loxley d’accordo con il padre e la moglie dell’uomo di cui ha assunto l’identità, anche perché è l’unico modo per loro di conservare le proprietà che altrimenti verrebbero confiscate dai Reali: grazie a questa sua permanenza l’arciere, oltre a cominciare un rapporto di odio/amore con la bellissima Lady Marian, ricorda il suo passato e quei momenti che da bambino gli cambiarono l’esistenza. Stimolato dalla memoria del padre e dal pericolo che sta correndo il suo paese Robin decide di unirsi all’esercito del nuovo Re per combattere i francesi sbarcati sulle coste britanniche, non prima però di aver ricordato a sua Maestà che solo grazie al popolo lui può comandare. Così nascerà, nonostante la battaglia vinta e i francesi scacciati, la leggenda di Robin Hood che, dichiarato fuorilegge per i suoi proclami e per essersi appropriato dell’identità di un cavaliere del Re, a guerra finita sarà costretto a rifugiarsi nella foresta di Sherwood. Il film di Ridley Scott in pratica racconta come Robin Longstride diventa Robin Hood, come da semplice arciere si trasforma in combattente per i diritti, visto che è proprio di una carta dei diritti che si parla in una delle scene più belle; e forse la leggenda del rubare ai ricchi per dare ai poveri può anche essere vista sotto un aspetto strettamente legato ai privilegi, quasi ad una battaglia per ristabilire un’eguaglianza nella popolazione. La morale di questo racconto, combattere da una parte per difendere il proprio paese e dall’altra per renderlo migliore senza però riuscirci, appassiona ma non riesce da sola a supportare un film di due ore e mezza, durata che si sente tutta a fine visione; il film ha delle scene d’azione di grande impatto visivo e di eccellente costruzione (su tutte la battaglia sulla spiaggia allo sbarco dei francesi) ma accontenta giusto gli appassionati del genere lasciando non poche perplessità su una pellicola che vive sulle spalle del buon Russell Crowe. Scott fa le cose in grande, forse troppo in grande, eccedendo in tutte le fasi della messinscena anche quando era lecito attendersi un cambio di ritmo che poi sarebbe dovuto diventare avvolgente nel finale: tecnica senza dubbio superlativa ma scrittura e scelte narrative parzialmente deludenti malgrado il cast di ottimo valore che affianca a Crowe la connazionale Cate Blanchett oltre a William Hurt, Max Von Sidow, Danny Huston e Oscar Isaac.
