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Anno edizione: 2019
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Romanzo vincitore del Premio Pulitzer.
«Un personaggio memorabile… con cuore e mente profondamente divisi. La mirabile descrizione che Nguyen avanza della personalità ambivalente del suo eroe ne fa uno scrittore degno di maestri quali Conrad, Greene e le Carré» – New York Times
«Non è soltanto un magistrale romanzo di spionaggio, ma un’opera che annuncia la nuova letteratura americana del XXI secolo» – BookReporter
«Un'opera totale» – Il Fatto Quotidiano
È il mese di aprile del 1975 a Saigon. Il mese nel quale la guerra che va avanti da tempo immemorabile ha cominciato ormai a perdere i pezzi. In una villa dalle mura ricoperte di cocci di vetro e di filo spinato arrugginito, il generale capo della Polizia Nazionale del Vietnam del Sud, colto da improvvisa insonnia, vaga tra le stanze con la faccia di un pallore verdognolo. Il fronte settentrionale ha ceduto dinanzi all'avanzata dei Vietcong, gli aerei americani decollano giorno e notte con a bordo donne, bambini e orfani, e l'ordine ufficiale di evacuazione tarda a venire soltanto per evitare la rivolta in città. A bordo di un C-130, con un volo coperto, il Generale si appresta a raggiungere gli Stati Uniti con la famiglia e parte dei suoi uomini. Ufficiale magro dal portamento impeccabile, il Generale crede in Dio, nella moglie, nei figli, nei francesi, negli americani e... nell'assoluta fedeltà del suo uomo di fiducia, il solo tra i suoi sottoposti ad abitare a casa sua: il Capitano. Non sa che il Capitano è, in realtà, una spia, un dormiente, un uomo con due facce che fotografa in gran segreto ogni rapporto e dispaccio e li invia a Man, suo addestratore tra le fila Vietcong. Figlio illegittimo di una vietnamita e di un prete cattolico francese, il Capitano ha studiato in un piccolo college della California meridionale, spedito da quelle parti da Man con una borsa di studio e il compito di apprendere la "mentalità degli Stati Uniti", un paese che, ai suoi occhi, si rivela subito cosi scioccamente narcisista da definire tutto "super" (i supermercati, le superstrade, Superman, il Super Bowl ecc.). Animato da un'autentica fede nel comunismo, rientrato in patria, ha sostenuto con tale rigore la sua parte di agente doppogiochista da risultare insospettabile agli occhi di tutti, anche a quelli di Bon, l'amico di lunga data che è entrato a far parte del famigerato "Phoenix Program" della CIA.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Potente e folgorante romanzo di spionaggio. Il protagonista è un personaggio descritto magistralmente nella sua doppia personalità con tutte le insicurezze che ne conseguono. Il romanzo riesce ad incastrarti anche per la Ricerca puntigliosa degli avvenimenti accaduti on quegli anni (Laos Vietnam ,Tainlandia e America) . Capitalismo e comunismo, pace e guerra visti da due sponde opposte.
Un romanzo potente, forte, che ci fa riflettere, che parla di ingiustizie e soprusi, del rapporto tra noi e l’altro, del centro contro la periferia del mondo, ovvero un romanzo quanto mai attuale. Eppure difficile da leggere, che porta via tempo ed energie. Uno stile arduo con passaggi spesso bruschi e la narrazione non può certo dirsi fluida, complice inoltre la mancanza di discorsi diretti; e anche la mancanza di descrizioni per così dire scenografiche rende spesso difficile, unitamente ai passaggi spesso bruschi, cogliere il cambio di scena e di interlocutori e comprendere con esattezza ciò che sta avvenendo. Nel complesso un libro importante, ma non ho affatto apprezzato com'è stato scritto.
Il simpatizzante è la confessione di un soldato vietnamita, cresciuto in America (come l’autore), e combattente nel Vietnam. In realtà una spia vietnamita (da qui il termine “simpatizzante”) contro gli americani. Questo racconto di Nguyen ci trasporta per intero nelle pieghe profonde della storia. All’interno di fatti vissuti, fatti taciuti dall’opinione pubblica. È un romanzo americano sulla guerra del Vietnam. Un romanzo americano antiamericano. Un lacerante racconto delle atrocità commesse dai soldati statunitensi in quella terribile guerra. Leggendolo, sfogliando, pagina dopo pagina, mentre un velo d’umido mi deformava la vista, è maturato in me un pensiero. Un atroce e terribile nome. Adolf Hitler. Napalm Un tremendo confronto. Sei milioni di ebrei, tre milioni di prigionieri di guerra sovietici, due milioni di polacchi, cinquecentomila Rom, duecentomila massoni, quindicimila omosessuali, cinquemila testimoni di Geova, un milione e mezzo di dissidenti politici, due milioni e mezzo di Slavi. Internati, torturati, svuotati di ogni dignità umana e uccisi. Forse ciò non potrà mai reggere alcun confronto. Eppure. Vedo una strana figura, in piedi, un po’ china in avanti, con le gambe larghe e le braccia aperte per non toccarsi i fianchi. Senza occhi. Sul corpo una spessa crosta nera spruzzata di chiazze gialle. Pus. Poi due lucertole, nell’oscurità, si avvicinano. Enormi, orribili, si trascinano lentamente lanciando grugniti e gemiti. Seguite da altre. L’oscurità si dirada. No, non sono lucertole, sono esseri umani scorticati dal fuoco e dal calore, pieni di contusioni nelle zone in cui hanno sbattuto contro qualcosa di duro. Sul sentiero, lungo il fiume, uomini: un corteo di tacchini arrosto. Alcuni chiedono acqua, con voci appena udibili e rauche. Nudi, senza pelle: quella delle mani, strappata ai polsi, gli penzola dalla punta delle dita, sotto le unghie, rivoltata come un guanto. Nella penombra, bambini, nelle stesse condizioni. Napalm! Esempio luminoso della civiltà occidentale, forgiato dai più grandi luminari di Harvard. Il simpatizzante ci aprirà gli occhi, ci racconterà la storia di un popolo lontano, ci racconterà di una guerra, di una storia, caso unico, scritta dagli sconfitti. La civiltà dell’occidente Ci ritroveremo in America, l’America degli anni ’70. Una nazione così lontana da quella attuale, così lontana dalla nostra. Una nazione in cui tutto era super: “supermarket”, “superbowl”, “superstrade” . Una nazione non soddisfatta fino a quando non avesse bloccato ogni azione del mondo in una presa di lotta libera, costringendola a gridare U.S.A. Una nazione in cui la parola “masturbazione” destava più scandalo della parola “omicidio”. Una nazione in cui si era incapaci di vedere qualsiasi colore che non fosse il bianco. Per fortuna il simpatizzante ci racconta di una storia passata, lontana.
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