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L’impatto di un’opera come Valzer con Bashir su un qualsiasi spettatore rende giustizia all’immensità del Cinema, quella Settima Arte troppo spesso bollata come industria di intrattenimento: questo documentario d’animazione dimostra quanto un film può essere utile a livello umano, educativo. Ari Folman è un cineasta oramai affermato nel suo paese, Israele, ma a 18 anni era nell’esercito e partecipò alla Prima Guerra del Libano all’inizio degli anni ’80. Quel conflitto cominciò per sradicare da quei territori i terroristi palestinesi che lanciavano missili sul nord d’Israele ma, come troppe volte nelle battaglie in Medioriente, portò ad una carneficina di vittime innocenti che ebbe il proprio culmine nel massacro di Sabra e Shatila avvenuto per mano dei Falangisti Cristiano Maroniti. Nonostante la forma documentaristica, quasi da inchiesta giornalistica, Valzer con Bashir riesce ad essere intenso ed emozionante; la scelta di utilizzare l’animazione amplifica il coinvolgimento perché lo spettatore viene catapultato in una sorta di limbo tra incubo e realtà, lo stesso che colpisce il protagonista inquietato dalla mancanza di ricordi e bisognoso di iniezioni psicanalitiche che ricerca attraverso testimonianze di quella guerra e spiegazioni alla sua condizione. Le sue interviste si alternano alle scene in Libano, e quelle che parevano immagini dell’inconscio si rivelano vita vissuta, tragiche esperienze che la memoria ha tentato di rimuovere o di trasformare in situazioni irreali. Un film del genere è importante soprattutto perché fatto da un israeliano che è stato un soldato; al giorno d‘oggi quasi tutto si dà per scontato e la visione di Valzer con Bashir vuole sfidare proprio questa convenzione aiutando a riflettere a prescindere dalle verità imposte dai media tradizionali.
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