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Billy Beane, ex promessa, mai mantenuta, del baseball professionistico è l’attuale g.m. degli Oakland Athletics, con un problema di difficile risoluzione: cercare per mezzo di un budget sempre più ridotto di costruire una formazione all’altezza delle aspettative dirigenziali. Beane troverà in Peter Brand, un giovane laureato in economia, l’architrave sulla quale creare una squadra vincente. Brand infatti è un esperto di analisi statistiche che riesce per mezzo di complicati calcoli a capire come assemblare una formazione vincente ma comunque economica. Come spesso capita nei film tratti da eventi sportivi anche in questa pellicola firmata da Bennett Miller e datata 2011 ma risalente alla stagione 2001, c’è molto di più del semplice baseball, molto più del “batti e corri” o degli spogliatoi frequentati da masticatori di tabacco, c’è invece tutto un sottobosco di luoghi comuni e di sogni infranti, a partire da quelli di Brad ‘Billy Bean’ Pitt, che da promessa della Major League, con un passato di sogni e lacrime spese ripensando alla sua modesta carriera, si trasforma per mezzo dell’arrivo di Peter Brand nel primo sostenitore della sebermetrica, la scienza che grazie all’analisi statistica traduce quel che uno scout non seppe vedere proprio in lui ovvero varie debolezze essenziali in alcune particolarità del ‘gioco’. Oltre a questo c’è anche la vita di persone incapaci di mantenere distaccati sentimenti e vita professionale, incapaci di non lasciarsi coinvolgere, anche se ben pagati, all’interno del gorgo dei sentimenti prodotti da uno sport che per loro è molto più di un semplice sport ma la loro vera ragione di vita. Pitt fornisce una prova sopra le righe, oltre le più rosee aspettative, facendo appassionare, grazie al suo atteggiamento sornione, lo spettatore ad una disciplina di difficile lettura per un utente non americano e decisamente più avvezzo a gusti calcistici. Ciò nonostante la caccia al record di vittorie consecutive degli A’s e il rapporto fra Billy e la figlia, diviene il polmone per mezzo del quale vive e si alimenta tutta la pellicola. Da sottolineare anche la buona prova di Philippe Seymour Hoffman, nel ruolo dello scettico coach Art Howe che non vede di certo di buon occhio un’innovazione così scientifica incapace di captare quel che è impalpabile ad una fredda statistica ovvero ‘l’essenza stessa dello sport’. Da vedere anche se non siete appassionati del ‘diamante’ ma se siete comunque appassionati di sogni made in USA quasi a lieto fine.
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