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Sorta di seguito del discorso già intrapreso con “C'eravamo tanto amati” sui corsi e ricorsi dei cicli della storia e sui loro riflessi nel cambiamento delle esistenze individuali, secondo un tema caro a Scola e più volte affrontato quasi come suo leit-motiv (si pensi ai successivi “Le Bal” e “La famiglia”). Qui si introduce l'argomento in rapporto con un'ispirazione più strettamente culturale e politica. Oggetto d'indagine è infatti il rapido dissolvimento (siamo ormai al 1980 e il riflusso è già attivo e preponderante) di valori, ideali e speranze del passato recente e il loro sostanziale tradimento o svilimento ad opera di un'intellighenzia di sinistra ortodossa, diventata ormai velleitaria, parolaia, presuntuosa ed autoreferenziale, incapace di guardare con occhi lucidi alla società in cambiamento. Un ceto sociale piccolo-borghese che non riesce più ad interpretare non solo quelli che dovrebbero essere i suoi interlocutori sociali privilegiati (il popolo e i ceti subalterni) ma neanche sa cogliere le sfide nascenti nella società, ed è anzi chiuso nei propri circoli e salottini ristretti. La terrazza del titolo è in tal senso un luogo fisico e insieme simbolico, sede di cene che a cadenza ricorrente sono occasione di riunione e ritrovo dei protagonisti: in quanto tale, scandisce con la sua periodicità i vari episodi del racconto, ognuno dei quali ispirato a ciascuno dei personaggi principali. Come simbolo di deteriore sottolineatura di tali salottini chiusi, solipsistici ed autoreferenziali, il termine “terrazzaro” ha del resto avuto a lungo questo significato, anche da un punto di vista sociale e culturale. Scola guarda a questo mondo e alla sua vacuità con una certa impietosa ironia, magari con un linguaggio meno risolto rispetto ad altri film (forse perché la prospettiva è qui vista dal di dentro), ma non per questo meno efficace nell'affrontare dinamiche che coinvolsero direttamente anche l'allora maggior partito della sinistra italiana. Grande cast corale che riunisce molti nomi di punta del nostro cinema illustre. Tra i più interessanti episodi, quello con Gassman (al solito rivelatore) e con Tognazzi, scialbo produttore cinematografico ridotto ad appoggiare finanziariamente le provocatorie, intellettualistiche e semi-pornografiche pellicole dell'amante della moglie. Quanto a Gassman, è qui nei panni di un personaggio in qualche misura ispirato all'allora segretario del Pci Berlinguer, che si fa coinvolgere in una bella ed intensa storia d'amore con una giornalista ed intellettuale per così dire di sinistra dissidente (una Sandrelli al solito notevole per efficacia e versatilità). Questa relazione sentimentale lo costringe a rimettere in discussione i valori di un partito e di una militanza che aveva sposato, forse con un certo acritico integralismo, l'idea della politica come missione, trascurando e dimenticando al di là del dovuto il fatto che probabilmente la rivoluzione e il cambiamento hanno a che fare anche (e in modo non secondario) con il diritto all'appagamento e alla felicità individuale, come è testimoniato del resto, durante la storia umana, da una lunga e importante (anche se emarginata) tradizione di pensiero, filosofica e culturale.
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