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Un quadro crudo e impietoso di una parte della società americana, quella del Midwest più retrivo e isolazionista, vista attraverso le dolorose vicende di una ragazza di 17 anni che combatte per conservare l'unico valore a cui tiene: la famiglia. Unabomber è solo una punta dell'iceberg. C'è una parte di quel variegato universo che si chiama Stati Uniti che cerca di vivere in maniera isolata, con proprie leggi, con proprie regole, contrapposte a quello dello "Stato". E' una parte molto povera del paese che vive nel degrado, nell'incuria, senza cultura o raffinatezze. Fin da piccoli si deve imparare a usare il fucile, a uccidere per nutrirsi, a non soffrire di sentimentalismi o delicatezze. Vale solo la forza e chi è debole è destinato a perire. Vige poi tutta una serie di valori di stampo primitivo, vagamente mafioso, fondati sull'onore e sull'omertà. Si può vivere anche fabbricando o spacciando droga e non viene percepito come qualcosa di disonorevole. Non si perdona invece chi "tradisce". In questo triste quadro sociale ed economic c'è però ancora la solidarietà di gruppo (in una maniera o nell'altra ci si aiuta a vicenda) e soprattutto il valore fondante, irrinunciabile e saldo rappresentato dalla famiglia. La giovane Reed si sbatterà senza posa, si farà anche picchiare pur di salvare l'unità del nucleo familiare. Nonostante l'ambiente ostile cerca disperatamente di conservare un animo relativamente "puro" (non consuma droga, non beve, è apparentemente asessuata), ha un cane, non deride i suoi fratellini quando accarezzano un pulcino o adottano un cane smarrito. Cerca insomma di mantenersi umana e in un posto del genere non è cosa da poco! Il film vuole riscattare il ruolo femminile, fondamentale e per nulla debole. Gli uomini minacciano, uccidono, alzano barriere; le donne invece appianano, risolvono, creano invece di distruggere. Le donne sono le vere protagoniste del film. Bello, sicuramente da vedere
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