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Cosa sono i "SIGNS"? Cosa rappresentano? Chi è il loro ideatore e creatore? Tutte queste domande sono leggittime quando si incappa in alcuni "fenomeni", come i "Crop Circle", che la scienza non può, e non potrà mai, spiegare del tutto. E' nel nostro DNA di uomini, in quanto esseri umani, chiederci chi siamo, da dove veniamo, cosa ci circonda, il perché accadono certi eventi... Di questo parla "SIGNS", cercando di darci una risposta. Nel film c'è il punto di vista di chi è scettico (Mel Gibson), di chi pensa di spiegare tutto scientificamente e che ci sia un motivo "reale" a tutto o che non ci sia un senso nelle cose che avvengono, e c'è quello di chi crede (Joaquin Phoenix), invece, che il caso non è una coincidenza, che c'è un disegno da qualche parte e che gli eventi, anche i più "terribili", che ci toccano durante la nostra vita, non sono così sfortunati, ma hanno un significato più profondo, più nascosto... Per M. Night Shyamalan, così come nel "SESTO SENSO" e in "UNBREAKABLE", i "SIGNS" sono quei "segnali" che noi esseri umani non riusciamo il più delle volte a percepire, in quanto comuni mortali, e a capire, perché si può farlo solo con la fede...
L’idea di partenza della pellicola affonda le sue radici nella cronaca e nel mito dei cosiddetti “cerchi nel grano”. Un ex pastore in crisi mistica (Mel Gibson) gestisce ora una fattoria, dove cresce i suoi figli, con l’aiuto del fratello (il solito, grande, Joaquin Phoenix). Finché misteriosi segni appaiono nei campi. Se per un normale regista questo sarebbe l’avvio alla caciara, per Shyamalan rappresenta, invece, il pretesto per una riflessione sull’ignoto, la paura atavica che produce e la ricerca di senso che ne scaturisce (la parte meno convincente). Se in The Village, si trattava di una paura “sociale”, cioè come viene affrontata da una comunità, e in The Happening di una paura “collettiva”, cioè come l’affrontano gli individui in una società, in Signs si tratta di una paura “intima”. Il regista sembra qui interessato ad osservare come i personaggi reagiscono alla minaccia, nel chiuso della propria casa e della propria anima. Non vi sono interazioni sociali, né pandemie. L’unica scena “di massa”, non a caso, è ripresa con una videocamera amatoriale. Intima, appunto. Il pretesto drammaturgico con cui è risolta la trama conferma, nella sua semplicità, tutta l’intelligenza di un regista che guarda oltre.
Signs è uno dei film che hanno maggiormente segnato la mia adolescenza. Inizia come un Bond-movie e termina con l'afflato umanistico degno del miglior Spielberg. Ciò che colpisce del lungometraggio è il fatto che l'attenzione del regista e il punto di vista dello spettatore vengano concentrati unicamente su una vicenda intimistica: in che modo la famiglia Hess vive l'invasione degli alieni? Signs conferma M. Night Shyamalan come uno dei più grandi narratori per immagini e maestro assoluto nell'uso della suspense.
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