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Anno edizione: 2012
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Il 31 dicembre 1969 Massimo, ad appena nove anni, si sveglia nel sonno e vede il padre sorretto da due uomini. La mamma è morta. Un paio di decenni più tardi: Massimo è un giornalista affermato, va in Bosnia come inviato durante la guerra, incontra Elisa. Ma il ricordo della sua mamma si allunga, costante, come un'ombra tormentata e non riesce a fargli chiudere i conti con il passato, finché non scopre la verità su quella morte. A me il film provoca una sensazione dicotomica. Non è il prodotto migliore di Bellocchio: è un film facile e perfino ordinario, senza sottintesi metafisici, senza visionarietà, un po' lungo e con qualche momento di stanchezza o ridondanza. Tuttavia il tema dell'assenza che è presenza ineluttabile, il dolore ossessivo per la perdita (con un fondo oscuro di senso di colpa), l'empatia assoluta del piccolo verso la mamma -vero e puro amore- me lo rendono molto caro ed emotivamente travolgente. Universale e intimista. Commovente. I passi migliori sono quelli che dipingono il rapporto tra madre e figlio: così simbiotico da essere attraversato dal silenzio cioè da non aver bisogno di molte parole. Per contro gli incisi che si aggiungono a questo tema sembrano sovente superflui nell'economia del film (tipo il suicidio "in diretta" dell'uomo d'affari coinvolto in Tangentopoli). La donna e il bimbo sono i due personaggi più intensi, magnifici. Solida e di buon livello l'interpretazione di Mastandrea -che, come sempre, non ride mai: non ricordo un suo personaggio che si abbandoni a una risata-. E la scena finale è sublime: come in Buongiorno notte -in cui Aldo Moro camminava, vivo, in una piazza romana deserta-, anche qui c'è un sogno impossibile, e cioè il fatto che la sparizione della mamma era solo uno scherzo.
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