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Se la coerenza d’impianto, la ripetizione tematica e la persistenza dello stile fossero i soli parametri di attribuzione di una patente d’autore, Michael Bay ne sarebbe l’espressione più moderna e calzante. Ma nessuna emotività partecipativa trapela dal suo cinema, l’efficacia spettacolare non si traduce in genuina consapevolezza e la misura delle ambizioni si trasferisce proporzionalmente nella smisuratezza economica di mezzi e di incassi, a cui tutto si riduce. Il frastuono, visivo e sonoro, è l’unica ricorrente cifra attribuibile a Bay, a dispetto della qualità di sceneggiatori o dei produttori coinvolti. Cinema pop-corn, quello di Bay è ad immagine delle sue macchine, capaci di nascondersi in fattezze quotidiane per espandersi verso la mostruosità robotica di un’ipotesi di vita illusoria, è un cinema inondato di effetti speciali che nascondono la povertà delle intenzioni, la ripetitività degli schemi, la trasformazione di ogni figura umana in elemento accessorio e decorativo, necessario orpello di una pellicola puramente meccanica. Decorato da un’ironia sfacciatamente immediata, da una facciata ludica volutamente leggera ma che non svela alcuna prospettiva dietro alla cortina fumogena della superficie appariscente, il cinema di Bay si esaurisce con l’uscita dalla sala, e prosegue solo nel ronzio dei timpani sollecitati. E anche il vago messaggio anarcoide e populista dell’ingerenza errata delle istituzioni, con implicita critica all’Amministrazione americana, risulta paradossalmente anacronistico nell’accostamento ad Obama e sembra dovuto ad un necessario aggiustamento alla cronaca politica di un testo più vecchio. Ma è in fondo la celebrazione dell’ossessione individualistica del cowboy ad uniformare la produzione di Bay che maschera l’antichità del concetto con la modernità dell’apparato tecnologico ma non trascende il senso delle proprie immagini. Pot-pourri di citazioni equidistanti, melting-pot di afflati cinematografici disparati ed essiccati per decorare la facciata visibile delle immagini, Bay continua con imperterrita costanza a non dire niente, cercando di distrarre sempre la lettura con l’interruzione della ragione, investendo il grande schermo della visione dissipata e intermittente legata alla fruizione televisiva, dimenticandosi però che il televisore è solo un contenitore generico che, cercando, trasmette anche qualche gemma di intelligenza e narrazione, oltre ai suoi film e a quanto con essi si confonde.
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