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Alta scuola di recitazione americana incominciando dall’attore protagonista, e una trama che coinvolge e invita alla riflessione. Lo rivedo una volta l’anno e mi insegna ogni volta qualcosa. Lo raccomando a chi ama il cinema di introspezione.
Sebbene tutto il film si svolga in un'unica stanza, quella dove si riuniscono i giurati, la regia di Lumet ci consente di seguire tutta l'indagine del processo e di analizzare i dettagli del crimine di cui è accusato un ragazzo di colore. Si evidenzia nell'esternarsi delle manifestazioni più o meno disinteressate dei 12 giurati la debolezza del sistema di giustizia americano basato sul giudizio, talvolta pregiudizio, di cittadini che sembrano per la maggior parte interessarsi sopratutto ai loro affari e per la maggior parte non si sentono, se non marginalmente coinvolti in questo delicatissimo incarico che pur è stato loro affidato. Magistrale il rovesciamento della sentenza che all'inizio viene data quasi per scontata ad opera di uno solo dei giurati (H. Fonda) che riesce a destare l'interesse degli altri insinuando in essi l'ombra del dubbio. Quel dubbio che ci permetterà a noi spettatori di analizzare i fatti da un'inclinazione diversa da quella che il processo sembrava aver già stabilito e consolidato e per il quale quasi tutti i giurati si erano espressi a favore . L'ombra del dubbio riuscirà a sollecitare le coscienze di molti dei giurati, a far rivivere nella loro memoria fatti della loro vita e della loro infanzia che li hanno condizionati nel tempo e nel giudizio a tal punto da immedesimarsi nella vittima senza andare più a fondo nell'analisi delle azioni collegate al delitto Sorprendenti le inquadrature dei primi piani che mettono a fuoco in gli sguardi di ciascuno dei giurati cogliendone, seppure celati, le emozioni e gli stati d'animo. Il film risente dell'origine drammatica del soggetto (tratto da un teledramma (1954) di Reginald Rose , diretto da F. Schaffner) ma forse sta proprio in questo la lezione magistrale di un grande regista. Gianna Maestrelli
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