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In una clinica di Napoli Margherita (Stefania Sandrelli) è appena stata operata alle corde vocali: è circondata da tante persone, nessuna delle quali le fa veramente compagnia, di certo non la compagnia di cui lei sente il bisogno. Il momento per lei è difficile, forse più di quanto non se ne renda conto; Margherita è una cantante e per i medici ci sono poche possibilità che possa tornare ad esibirsi, ma a lei non l’hanno ancora detto. Tra la gente che le è vicino c’è anche Chiara, sua figlia, che ormai da anni vive a Roma, fa la logopedista, è divorziata ed ha una bambina, Lucia: Chiara aveva lasciato la casa natale per un senso di oppressione che non riusciva a superare, ed il trasferimento le era parso una liberazione da quel mondo in cui i genitori vivevano e la facevano vivere senza però preoccuparsi minimamente dei desideri della figlia. Così il diventare donna lontano da quell’ambiente l’ha resa estranea ad un modo di pensare che non sente più familiare, è diventata più dura e le esperienze non sempre felici vissute fino ad allora l’hanno portata ad assumersi ogni sorta di responsabilità, molte volte accollandosi anche quelle che spetterebbero ad altri: come in questo caso in cui c’è bisogno che qualcuno avverta Margherita della possibilità che la sua carriera di cantante sia finita. Il conflitto non è semplicemente generazionale, è una vera e propria contrapposizione tra la maturità di una figlia che non ha mai sopportato il modo di vivere e di pensare della madre, e di una madre che alle prese con una crisi personale e professionale cerca vie di fuga da una esistenza a cui, sente, la vogliono incatenare. Per questo tradisce il marito, per questo va via di casa atteggiandosi ancora a diva di altri tempi, per questo si presenta a Roma da Chiara per farle capire di essere ancora “viva” e decide di instaurare un rapporto amichevole con la nipotina Lucia quasi per dimostrare di poter essere quella madre che in passato non è stata con Chiara. Ma le buone intenzioni della nonna portano ad una fuga che mette in ansia la figlia, perché la piccola Lucia soffre d’asma e, al contrario di quello che pensa Margherita, la sua è una malattia da tenere sempre sotto controllo, ed avrà modo di accorgersene la madre improvvisata. L’esordio alla regia di Valia Santella è un piccolo film che racconta una storia di realtà quotidiane, di scontri morali e caratteriali, di vicende familiari che caratterizzano e segnano esistenze anche quando si decide di abbandonare quelle dolci-amare gabbie costruite sullo stesso sangue. Ha trovato nelle tre interpreti femminili il cambio di marcia di una pellicola che in alcuni casi perde di consistenza, forse supportata poco da una sceneggiatura che sembra eccessivamente convenzionale nella sua ricerca di anticonformismo. Stefania Sandrelli si trova alla perfezione nel ruolo di Margherita, anche perché ritrova gli atteggiamenti di molti dei personaggi interpretati da quando ha superato gli ..anta (rifiuto ad invecchiare, voglia di dimostrare, necessità di cambiare, ambiguità nei comportamenti, crisi psicologica perenne), anche se la sensualità non sembra avere intenzione di abbandonarla con il passare del tempo. Teresa Saponangelo è bravissima ad interpretare la figlia di Margherita: protagonista delle vicende dell’intera storia nonostante quasi mai la riguardino in prima persona, mette in scena una personalità indurita dagli anni ma sempre comunque capace di emozionarsi; la Saponangelo con questo film ha fatto un passo decisivo nella sua carriera dato che fino ad ora era stata sfruttata principalmente per la sua vena comica e macchiettistica. Menzione speciale per la piccola Camilla Di Nicola che interpreta Lucia con una fresca naturalezza e rende molto realistiche le scene per niente facili in cui ha le crisi d’asma. I ruoli maschili in Te lo leggo negli occhi sono ricoperti da tre straordinari caratteristi del cinema italiano: Mariano Rigillo, Ernesto Mahieux e Luigi Maria Burruano. Nonostante le interpretazioni, nonostante la produzione di classe di Nanni Moretti e Angelo Barbagallo ad assicurare una pellicola di qualità (da sottolineare il piccolo gioiello che regala il regista romano in una scena che si svolge in un negozio dove Nanni Moretti pare interpretare proprio se stesso…), nonostante la colonna sonora di classe curata da Paolo Fresu, nonostante la fotografia e l’ambientazione che palleggia l’azione da Roma a Napoli (scelta significativa e simbolica quella di mostrare il capoluogo campano sempre sotto la pioggia), il film non lascia del tutto soddisfatti all’arrivo dei titoli di coda: non è per il finale, dove la malinconia assume i contorni di una riappacificazione consensuale tra le tre generazioni, ma per un insieme di scelte fatte in fase di scrittura che mettono troppo in evidenza la mancanza di ritmo in alcuni momenti lì dove la costruzione avrebbe potuto portare lo spettatore a sentirsi coinvolto in prima persona nella vicenda. L’esordio della Santella, ad ogni modo, non può dirsi negativo: la messa in scena è di buon livello, e si nota l’impronta morettiana.
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