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Anno edizione: 2018
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che bellezza
La repubblica di Firenze era tutto fuorchè democratica, in quanto aveva tutte le caratteristiche dell’oligarchia, con famiglie per lo più di banchieri a reggerne le sorti, in perenne conflitto fra di loro al fine di pervenire, nelle decisioni, alla supremazia. Cosimo de Medici e suo figlio Piero riuscirono nel difficile intento di non apparire, ma in effetti di comandare dietro le quinte; certo non era vita facile, in un continuo rimescolamento di alleanze, perpetuamente nel timore di qualche colpo di stato, che in effetti vi fu più di una volta. I successori di Piero, il primogenito Lorenzo e l’altro Giuliano proseguirono all’inizio l’accorta condotta del padre e del nonno, ma poi subentrò quel desiderio di affermazione e di raggiungimento del pieno potere che era tutto il contrario della politica degli avi. Desideroso di fare sua Firenze quasi fosse una bella donna, ma ancora timoroso di prenderne possesso ufficialmente, accontentandosi dell’ufficiosità, fu Lorenzo, giacché il fratello Giuliano, più giovane, gli era un po’ succube. L’aver intrapreso una politica meno accorta, tesa a gettare lle basi anche di un potere ecclesiastico comportò tuttavia una serie di errori che resero inviso, molto più di quanto lo fossero stati Cosimo e Piero, proprio Lorenzo, errori che comportarono una totale revisione della politica, pur restando punti fermi gli appoggi, o comunque segrete alleanze, con il re di Francia e il duca di Milano. Non sto a raccontare tutte le trame, gli intrighi, i voltafaccia perché sarebbe come fare un ampio riassunto di questo eccellente saggio scritto da Franco Cardini e Barbara Frale, e mi limiterò quindi a evidenziarne l’impostazione, notevolmente razionale. Grosso modo l’opera può essere divisa in tre tempi: il prima, cioè gli anni che precedono la famosa Congiura dei Pazzi, la congiura stessa e i giorni di sangue che ne seguirono, il dopo che non arriva alla morte di Lorenzo, ma che delinea ciò che furono i suoi ultimi anni. Del prima ho già scritto, della congiura non intendo aggiungere altro a quello che già si sa e per il dopo mi limito solo a evidenziare come il raggiungimento, sia pur non ufficiale, del pieno potere segnò in modo negativo, triste, malinconico, angosciante l’ultimo percorso dell’esistenza di questo principe senza investitura. La Congiura è un’opera di rilevante interesse e credo si possa definire come uno dei migliori saggi storici che siano stati scritti; la completezza, quasi maniacale, delle informazioni, il ritmo che sembra assecondare lo svolgimento dei fatti, uno stile che non è mai assolutamente greve e che avvince il lettore, insomma tutti elementi che normalmente sono presenti nel romanzo storico di un grande autore. Qui, tuttavia, è lasciato ben poco spazio alla creatività e preminenti e quasi assoluti restano i fatti, le supposizioni e le interpretazioni dei due storici, inserite in un contesto che fa sì che sembrino più ipotesi formulate all’epoca degli eventi e non a posteriori. Viene da chiedersi se questo sia un saggio storico e indubbiamente lo è, perché i richiami alle abbondanti fonti, elencate in calce, sono continui, ma comunque resta una costruzione snella, ma non per questo incompleta o superficiale, che attira irresistibilmente perché francamente viene spontaneo di continuo chiedersi come si rimedierà a quell’errore, quali mosse saranno intraprese per giungere allo scopo, insomma ci si appassiona come fossero eventi contemporanei e non di più di cinquecento anni fa. Forse - è però una mia ipotesi - a quest’opera calzerebbe meglio la definizione di storia romanzata e meglio ancora di storia narrata. Se tutto sommato la figura di Lorenzo ne esce un po’ ridimensionata, cioè sì un grande politico, ma anche uno la cui spregiudicatezza lo condusse a non pochi errori, resta inalterata la stima per il poeta, e non a caso il saggio, dopo aver rimarcato gli ultimi anni di un’esistenza che vide il politico solo, angustiato, e in preda a quella malinconia che coglie chi sa che non potrà più cambiare ciò che è stato e che la vita vista da vecchi è più rimpianti che gioie, si chiude con i celebri versi, in apparenza lieti, ma che riassumono lo stato d’animo del Magnifico: “Quant’è bella giovinezza / che si fugge tuttavia / chi vuol esser lieto, sia, / di doman non c’è certezza. “.
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