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Anno edizione: 2012
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In questo dialogo con il fratello Gallione, Seneca ci espone cosa intende per felicità. Egli ci invita a non seguire la massa, le opinioni degli altri poichè queste non ci conducono nè alla felicità nè ci permettono di scoprire qualcosa di nuovo, soltanto ciò che tutti pensano. La felicità di cui parla non risiede nel piacere ma nella virtù, presupposto di una vita beata. Ciò infatti distingue l’uomo, dotato di razionalità ,dall’animale che segue gli istinti per la soddisfazione dei suoi bisgoni. L’uomo non deve essere solo felice ma avere consapevolezza di esserlo con cognizione di causa. Il mondo esterno che ci circonda è fatto di vizi, passioni sfrenate, potere, tutto ciò che “brilla” ma che non è altro che miseria, non è questo il sommo bene di cui parla Seneca. Un bene non apparente ma vero che si raggiunge con fatica e soltanto trovando l’essenza più intima e pura della propria natura, soltanto con la calma e l’armonia interiore che ci conducono alla vera gioia e alla libertà.Solo noi siamo gli artefici della nostra vita. Si è felici nel momento in cui la ragione riesce a liberare la mente dai timori e dalle preoccupazioni accettando di essere mortali e la certezza degi ostacoli naturalmente presenti nella vita di ognuno. L’accettazione è fondamentale. Nella parte finale Seneca ci dice che per lui l’epicureismo è stato mal interpretato dal volgo in quanto Epicuro non ha mai dato il via ai piaceri più sfrenati, è stato interpretato tale da chi ha voluto trovare una giustificazione al proprio lasciarsi andare smodatamente al piacere. Inoltre la virtù di chi la sceglie sta scomoda a chi preferisce i vizi. Congliato perchè contiene parecchi spunti di riflessione
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