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Anno edizione: 2018
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Me lo ricordo quel periodo, attorno ai 18 anni, in cui avevo registrato su un'audiocassetta i dialoghi di un intero film. Riesco ancora a sentirli, i toni di voce, alcune battute, le sensazioni provate. Anche il poeta protagonista del romanzo "Nel cuore della notte", scritto da un magistrale Marco Rossari, fa lo stesso. Passa notti e notti ad ascoltare, non un intero film, ma una parte di esso, un dialogo preciso. È tratto da "Paris, Texas" di Wim Wenders. “I knew these people, these two people, they were in love with each other”. Lo ascolta e lo riascolta come un mantra, sdraiato sul letto in uno stato di immobilità atarassica a ripassare nella mente la sua vita con Lei, con l’Unica. Con Anna, che era tutta la sua storia. Ed è a bordo di un afoso pullman che il poeta, turista solitario in viaggio verso un osannato vulcano, inizia a raccontare quella storia, quell’unica storia che conta, che importa, ad un ascoltatore improvvisato. Un giovane ragazzo con la stessa meta e con anche una ragazza. Gli dice di come proprio lui, un poeta anche libraio - che ironia! - si è fatto fregare dalle parole. Le parole bastarde che ha usato quando voleva, doveva, trovare una ragione a quella morte brutale. Le parole che ha sporcato e vomitato nella rete assieme al sesso, ai nomi finti, all'alcol. Le parole che infine ha trovato, esausto, e cucito assieme, investendole per ottenere quella seconda possibilità che gli è stata concessa. E in questa rinascita, in questa rivincita, finalmente il tormento delle parole si placa. Lo ha dominato, ha saputo plasmarlo attorno a Lei e trasformarlo nella testimonianza di un'intimità seducente. E ha deciso, proprio con Lei, di metterlo alla mercé di un pubblico che non attende altro se non di poterlo giudicare. E lo farà, eccome se lo farà. “Hai presente quelli che dicono: la poesia mi ha salvato la vita? Ecco, a me l’ha rovinata”. Mentre leggi te li senti sulla pelle, uno dopo l’altro, tutti i temi che Rossari intreccia con maestria. Sesso, internet, la coppia, l’amore, la morte, la politica, la privacy, l’alcol e il tradimento. Lui e Lei. Tutti legati assieme dalla poesia, innescata sin dall’inizio a tenere viva l’intera narrazione e che poi esplode con un boato, riducendo ogni cosa in mille pezzi. E tu vivi lucidamente ogni shock, ci resti proprio secco. Stai lì, incredulo, davanti a certi epiloghi a ripetere che non può essere vero. Ti incazzi anche parecchio, e non una volta sola. Sino a che non lo finisci, questo potente libro, e resti fermo un bel po’ a far decantare tutto il casino che hai dentro. A dirti che a te no, a te non potrà succedere mai. O forse si? "La più grande prigione in cui le persone vivono è la paura di ciò che pensano gli altri." [David Icke].
Un romanzo nel romanzo, o meglio, un lungo racconto, un monologo di un cupo e sinistro compagno di viaggio, che si snoda nella cornice di una vacanza di coppia, un viaggio disagiato, il cui destino è lo spettacolo naturale delle luci irradiate all'alba da un vulcano ai tropici… In definitiva la cornice del racconto principale poco ha a che fare con la narrazione centrale. Troppo esile il legame della "passione letteraria" del narratore e dell'ascoltatore. Non del tutto persuasivo neppure il legame tra la storia raccontata e il paesaggio notturno del brulicante paese attraversato. Dunque il romanzo risulta piuttosto squilibrato. Nemmeno indimenticabile mi è parsa la storia delle disgrazie amorose e professionali del "narratore", ancorché scritta bene e con molto mestiere dall'autore.
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