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Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2013
Anno edizione: 2012
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Tutt’altro che un romanzo per signora. Tutt’al più un romanzo per signora con un dottorato in filologia moderna e un master in stesura e critica del testo. Altrimenti questo lavoro di Piersandro Pallavicini scivolerebbe via come un facile “giallo comico” all’italiana, a misura di signora rotariana, vigevanese o meno, tipo la Franca o l’Adriana Buttafava, baffetti da suora e crisi isteriche comprese. Ma sarebbe troppo semplice. E non sarebbe la verità. Sotto lo spesso strato di cruda ironia; sotto un intreccio apparentemente “leggero” - diciamo al terzo/quarto livello di coscienza narrativa – si nasconde un romanzo geniale che capovolge e allo stesso tempo mette a nudo tutti i cliché della letteratura (o dovrei dire piuttosto dire dell’editoria?) contemporanea. La sclerosi multipla a insorgenza tardiva del Cesare è esattamente la malattia che affligge l’attuale mercato editoriale, laddove la diagnosi deriva (invece che dalla positività ai test di Babinski e Lhermitte effettuati sotto la pianta dei piedi) dalle reazioni spontanee ed anomale dei lettori agli stimoli culturali offerti loro dalla moderna società, narrativamente divisa tra i navigabili, i martlàa a travèrs e i funghi trifola. Anche se il 90% dei romanzi contemporanei sarebbe meglio classificarli tra quelli da piaghe da decubito: memoria breve, stordimento, confusione, ecco i sintomi che causano, proprio come i sintomi classici della SS – PP di Cesare, che non a caso è un ex dirigente editoriale. A tratti, più che un romanzo sembra un vademecum per addetti ai lavori, anche abbastanza spietato nel ritrarre senza censure lo stato in cui versano le patrie lettere e non solo. Ma anche un omaggio alla letteratura come vocazione, paradigmaticamente riflessa tra Prokoch e Wodehouse e Leo Meyer a sintetizzare entrambi. Insomma, un vero e proprio fungo trifola, ma non un esercizio di stile fine a se stesso. Piuttosto un raffinato percorso nella storia della letteratura (ma anche dell’attualità) degli ultimi trent’anni disseminato di bivi e deviazioni in cui, se non si fa attenzione, è facile perdersi. Una bella serie di cliché letterari messi allegramente alla berlina, si è detto al principio. Il titolo, infatti, fa pensare immediatamente alla narrativa rosa, ma questo non è un romanzo rosa (sberleffo alla preponderanza del genere femminile nelle classifiche di vendita libraria?). L’evoluzione della trama chiama in causa il giallo (la sparizione del Buttafava; la presenza del celebre Leo Meyer nell’equivoca clinica del dottor eutanasia). Ma un giallo non è, perché i cosiddetti misteri non trovano soluzione, e non la cercano nemmeno ad essere onesti (e dunque altra beffa, il giallo è sempre spendibile nel mercato editoriale). Il protagonismo di arzilli e acciaccati ultrasettantenni (che non rinunciano a una canna, sia pur terapeutica, e a qualche altra amenità tipicamente adolescenziale) come negativo del giovanilismo imperante fuori e dentro i libri di maggiore tendenza? Può essere. L’omosessualità che da tabù si va lentamente e variamente trasformando in uno dei topoi più prolifici in campo narrativo? Anche questo, perché no...? L’attacco terroristico, la più mastodontica delle paure collettive consce o inconsce, ma tanto la vita scorre comunque (almeno quella di Cesare e compagni) e allora lascia che sia, e resta lì sullo sfondo, ma non più di tanto...? Forse. Sintassi, lessico (uso del dialetto incluso) appositamente destrutturati per allinearsi con la deriva della lingua tradizionale in favore di un linguaggio più moderno, aperto, funzionale, che non disdegna il gergale, il volgare, l’epidermico ipereale? Certamente, ma attenzione: Pallavicini decostruisce sì, ma è uno dei pochi che ancora si ricorda che per rompere una regola (linguistica, in questo caso) e sostituirla con un’altra, è innanzitutto necessario conoscerla bene quella regola, altrimenti qualunque ricomposizione sarebbe meramente arbitraria e artificiosa. Un romanzo, in definitiva, da leggere con cautela per penetrarlo, comprenderlo e goderlo a fondo in tutta la sua voluta corrosività. In alternativa, una lettura piacevole, a tratti esilarante, ma il divertimento non sarebbe lo stesso.
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